Turni estenuanti, stipendi bassi e carenze strutturali spingono i camici bianchi a lasciare il servizio pubblico

Il fenomeno dei medici in fuga dalla sanità pubblica non risparmia la Sardegna. Negli ultimi anni, a causa di turni insostenibili, stipendi poco competitivi e carenze organizzative, sempre più professionisti hanno scelto di dimettersi dal Servizio sanitario nazionale. I dati del Ministero della Salute parlano chiaro: dal 2016 al 2022 le dimissioni dei medici sono triplicate, passando da 1.564 a oltre 4.300, fino ad arrivare a circa 7mila nel 2024 secondo le stime dei sindacati. Una situazione aggravata anche dall’aumento delle defezioni tra gli infermieri, con oltre seimila uscite che pesano ulteriormente sull’efficienza del sistema. Francesca Melis, giornalista della redazione di UnioneSarda.it, è intervenuta in studio per commentare la notizia.

Medici
Sardegna in difficoltà per carenze e insularità

Nell’Isola la situazione risulta ancora più critica. Alla carenza cronica di organico si sommano i pensionamenti, la scarsità di nuove assunzioni e le difficoltà legate all’insularità. Molti studenti di medicina provenienti dalla Penisola, una volta laureati e specializzati, preferiscono tornare altrove, lasciando scoperte le strutture locali. Interi reparti ospedalieri e servizi territoriali si trovano così al collasso: mancano medici di base, pediatri e guardie mediche, mentre diverse postazioni del 118 sono state trasformate da medicalizzate a infermieristiche. Tutto ciò si traduce in pronto soccorso sovraccarichi, con turni che spesso superano le dodici ore consecutive.

Le soluzioni possibili

Per arginare la crisi, il Consiglio regionale ha approvato un ordine del giorno che apre al reclutamento di medici extracomunitari, una misura accolta positivamente dai comitati per la salute. I sindacati, però, ribadiscono che la vera priorità resta il potenziamento del territorio, con più risorse alla medicina di base e una rete di supporto che alleggerisca i pronto soccorso. Fondamentale, secondo gli esperti, anche il coinvolgimento degli specializzandi negli ospedali periferici sotto la supervisione di tutor esperti. Solo un investimento strutturale, capace di garantire condizioni di lavoro dignitose, potrà fermare l’emorragia di professionisti e restituire fiducia nella sanità pubblica.

Intervista a cura di Massimiliano Rais

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