di
Matteo Castagnoli e Chiara Evangelista

Il Sindaco informato dallo sgombero solo all’ultimo. In arrivo un bando per una possibile nuova sede in via San Dionigi. L’ipotesi dell’accelerazione per anticipare la riunione di Avs

Che lo sgombero del Leoncavallo potesse essere anticipato rispetto al 9 settembre era più di un sospetto. Fuori dai pronostici, invece, la reazione del sindaco di Milano Beppe Sala che ha ammesso di aver saputo del tramonto del «Leonka» solo da una telefonata del prefetto nelle prime ore del mattino di giovedì. Un’accelerata agostana che potrebbe essere stata dettata dal centrodestra dopo l’annuncio, per inizio settembre, della festa nazionale di Avs nell’ormai ex centro sociale più famoso d’Italia. L’ultimo passaggio esecutivo di una programmazione certosina e discreta sarebbe arrivato qualche ora prima che in Prefettura si riunisse il Comitato di sicurezza pubblica, dove «non è stato fatto cenno ad alcuno sfratto» aveva chiarito Sala.

Quindi ecco un altro tavolo a cui è possibile che la questione Leonka sia stata discussa e definita. Come di consueto il mercoledì — in questa circostanza un giorno prima che le forze dell’ordine arrivassero nello stabile di via Watteau, occupato dagli attivisti da 31 anni nel quartiere di Greco a nord di Milano — oltre al Comitato s’è riunita la cosiddetta Rtc, Riunione tecnica di coordinamento, a cui partecipano polizia, finanza e carabinieri. Al Comitato invece il sindaco Sala aveva delegato il vicecomandante della polizia locale. E durante questo secondo incontro l’ennesimo sfratto del Leoncavallo non è stato trattato tra gli ordini del giorno. Nessun colpo di scena all’orizzonte, almeno sembrava. Tanto che il sindaco s’era concesso una pausa dal lavoro, durata fino a quella telefonata del prefetto Claudio Sgaraglia a ridosso dello sgombero. 



















































Tra le ipotesi, c’è chi sostiene che lo sfratto anticipato sia collegato alla convocazione arrivata a inizio agosto della festa di Avs proprio al Leoncavallo a cui era seguita la spedizione di un gruppo di FdI a Roma. «Sapevamo che sarebbe potuto succedere», aveva commentato a caldo Marina Boer, la presidente delle Mamme antifasciste del Leoncavallo. Una situazione che ha irritato il sindaco, in quanto per «un’operazione delicata per cui al di là del comitato, c’erano modalità per avvertire l’amministrazione» e che ha acceso anche gli antagonisti: «Dal 2003 è occupato a Roma da CasaPound uno stabile del Comune e il ministro Piantedosi non ha mai mosso un dito». Sgomberare CasaPound? «Nella misura in cui si allinea a dei criteri di legalità, no» replica il ministro della Cultura Alessandro Giuli.

Intanto ieri la porta dell’edificio di via Watteau è stata chiusa con un grosso lucchetto. L’unico ad avere le chiavi è il gruppo Cabassi, proprietario della ex cartiera, dove ieri ha riattivato il sistema di allarme. Gli attivisti ora avranno 30 giorni per ritirare il materiale (sedie, tavoli, maxischermi e l’archivio storico). Ma resta l’incognita legata al futuro, se ci sarà, del Leonka. L’ipotesi sul tavolo è che il centro sociale possa traslocare in un immobile comunale in via San Dionigi, a sud est di Milano. Giovedì la giunta approverà le linee guida per lanciare un avviso volto a dare in concessione lo spazio. Il bando sarà aperto a tutte le realtà milanesi a carattere sociale, non solo al Leoncavallo. Il nodo restano però i costi in quanto lo spazio ha bisogno di interventi di riqualificazione che ammontano complessivamente a 3 milioni (bonifiche incluse). Una cifra elevata da sostenere per il Leonka. Il bando avrà una durata di 90 giorni, l’assegnazione dell’immobile, dunque, potrebbe arrivare non prima della fine dell’anno. «La nuova sede potrebbe arrivare in primavera», ipotizza il legale del centro sociale Mirko Mazzali, ammesso che il Leoncavallo partecipi al bando. In caso contrario, resta sullo sfondo l’ipotesi di una nuova occupazione.


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22 agosto 2025