Licia Colò, perché la gente la ricorda ancora come la compagna del tennista Nicola Pietrangeli?
Ah, non saprei. Forse per l’età: tra me e Nicola c’erano trent’anni di differenza. E questo, allora, fece scalpore.
Come faceva una donna ad innamorarsi di un uomo più vecchio?
Amandolo. Lui era un bell’uomo, ma non era solo questo, ci volevamo bene. Abbiamo trascorso sette anni stupendi assieme.
Anche sul suo ex marito, undici anni più giovane di lei, hanno avuto da ridire?
Ecco appunto. Ma perché mi chiedo?
E che risposte si è data?
Più vecchio o più giovane, non sarebbe mai andato bene. Ci sono stereotipi che fatichiamo a superare. Diciamocelo.
Che cosa?
Un uomo nella sua vita privata può fare quello che vuole, una donna no. Sono sempre pronti a criticarla: non va bene questo e nemmeno quello. Non vorrei dire una banalità, però l’amore non ha età. Si incontra una persona, si trovano affinità e rispetto e si percorre un pezzo di strada assieme. Perché ci devono essere paletti da mettere?
Ne ha mai messi?
No, mi sono separata dal mio ex marito Alessandro Antonino con il quale ho avuto una figlia, e continuo a lavorare con lui.
Ma è vero che il nome di sua figlia Liala, nasce dall’unione di Licia ed Alessandro?
Certo. Ma poi ho anche scoperto che Liala, lo pseudonimo che Gabriele D’Annunzio dette ad Amalia Liana Negretti Odescalchi, oltre a scrivere romanzi rosa ha segnato l’immaginario femminile italiano parlando per la prima volta del desiderio delle donne, della rivendicazione sessuale. Fu un punto di riferimento per molte donne.
Meglio viaggiare o fare divulgazione?
Unire le due cose.
Come è nata questa passione?
Fin da piccola mi interessavano le tematiche ambientali. Da ragazzina ero iscritta al Wwf e alla Lipu, provavo a salvare tutti gli animali che mi circondavano anche grazie all’educazione che ricevetti dai miei genitori. All’inizio nessuno in tv si interessava di questi argomenti.
Il suo maestro?
Maurizio Costanzo, era un persona intelligente, mi dette buoni consigli e mi permise, in uno spazio molto piccolo a “Buona Domenica”, di fare interviste. Del resto lui era eccezionale in questo.
Poi?
Presi un po’ da quello che vedevo in televisione. Soprattutto da Piero Angela.
E dal figlio Alberto?
No. È molto bravo, ma è difficile imparare da un coetaneo. Certo, quando racconta di archeologia, che è il suo ambito, è straordinario e lì potrei solo imparare, ma per il resto no.
Qual è lo stile di Licia Colò?
Sincero, immediato. Per nulla artefatto. Sono spontanea di natura e ne vado fiera.
La fermano per un autografo?
Non a Roma. A Casal Palocco dove vivo, non mi fila nessuno. Ma in giro sì. Ho un ricordo che mi porto ancora dentro. Da ragazzina sciavo e una volta in un rifugio incontrai Pierino Gros. Morivo dalla voglia di chiedergli un autografo, ma era impenetrabile. Il titolare del bar che lo conosceva glielo chiese e lui lo fece in modo quasi seccato. Magari aveva solo una brutta giornata, ma da quella volta ho capito che dietro ad una richiesta c’è sempre qualcosa da ascoltare e rispettare.
È nata vicino a Verona, torna in città qualche volta?
Da ragazzina ero molto affezionata a mia nonna, ricordo i caffè di piazza Bra con le sue amiche, le lunghe passeggiate. Ci ho portato mia figlia e più volte ci siamo ripromesse di tornarci anche per conoscere meglio le nostre radici.
Ha sempre avuto quest’aura di brava ragazza: le è pesata?
No, perché ho sempre interpretato Licia. Sono sempre stata me stessa. E ho sempre parlato delle cose che sapevo.
Perché ha lasciato la Rai e «Alle falde del Kilimangiaro?»
In realtà mi hanno fatta fuori, come si dice in gergo. Però non sono stata zitta. Sarebbe stato più semplice farlo e aspettare perché molti mi dicevano che i direttori vanno e vengono. Ma non ho avuto pazienza e l’ho pagata.
Le è andata comunque bene?
irei di sì, soprattutto a La7. Adesso vanno in onda le repliche di Eden. Mi sento un po’ come la “signora in giallo”.
Angela Fletcher?
Sì, che va sempre bene perché qualcuno che la guarda lo trovi sempre.
Il programma al quale resta più legata?
«L’arca di Noè» e, l’ultimo, «Eden».
È difficile parlare di natura in tv?
Diciamo che lo spazio a disposizione si riduce sempre di più, probabilmente anche per una ragione costi. Invece, bisognerebbe occuparsene. Infatti il nostro pianeta non è proprio un Eden. Ho l’impressione che stiamo tagliando il ramo su cui tutti siamo seduti e non ce ne rendiamo conto.
Pessimista?
Forse non comprendiamo che viviamo in uno spazio che non esiste, da quello che sappiamo, da nessun’altra parte. Viviamo in un paradiso che ha un insieme di equilibri pazzeschi. Poi, possiamo pensare a Dio oppure alla scienza. Ma la sostanza non cambia: resta da proteggere.
Ha mai avuto brutte avventure durante i suoi viaggi?
No, qualche imprevisto. Siamo stati caricati da un rinoceronte, ma solo perché ci siamo avvicinati troppo. In Australia mi sono imbattuta in uno squalo che evidentemente non aveva fame. Diciamo che mi sento più in pericolo a Roma, la natura non mi spaventa mai.