TORINO – Una sessione di spinning a cielo aperto guidata da Fabio Aru, musica a palla dalle 5 del pomeriggio e poi la parata dei campioni nel cuore di Torino. Nemmeno qualche scroscio di pioggia in Piazzetta Reale è riuscito a rovinare la festa della prima Vuelta italiana e il sorriso sulle labbra di Javier Guillén è la conferma che l’atto della Gran Salida è stato un successo.
Con il direttore della corsa spagnola abbiamo parlato della storica partenza dal Piemonte, che completa così il “triplete” dei Grandi Giri, e delle peculiarità dell’edizione che celebra i 90 anni dalla prima volta. Vingegaard contro il tandem Uae per la maglia roja. I tanti arrivi in salita che sorridono ai nostri Ciccone e Tiberi. Le poche chances in volata che i velocisti sono pronti a non lasciarsi sfuggire. Viviani ne ha contate quattro e già sabato a Novara vuole dare del filo da torcere ai fulmini Philipsen e Pedersen.
Guillén non ci ha negato nemmeno un’assaggio di futuro: se nel 2026 si partirà dal Principato di Monaco (questo pomeriggio c’è stata la presentazione informale alla stampa presente a Torino), nel 2027 ci ha anticipato che si tornerà a partire dalla Spagna.
Javier Guillen, organizzatore della Vuelta, ha fatto con noi a Torino il punto sulla sua corsa
Javier Guillen, organizzatore della Vuelta, ha fatto con noi a Torino il punto sulla sua corsa
I corridori sono pronti per il terzo e ultimo grande giro della stagione e voi? Che cosa dobbiamo aspettarci dalla prima Vuelta in Italia?
Tutto è cominciato circa tre anni fa, quando abbiamo incontrato l’allora assessore allo sport regionale Fabrizio Ricca a margine della Vuelta femminile. Abbiamo cominciato a parlare della possibilità di portare la nostra corsa in Italia nel futuro prossimo. In passato c’erano state alcune ipotesi di partenza dall’Italia, ma mai con la serietà e la fermezza che ci ha mostrato sin da subito la Regione Piemonte.
Come avete costruito questa Gran Salida?
Abbiamo cominciato a lavorare, partendo dalla riunione col presidente Alberto Cirio. Partire dall’Italia per noi è qualcosa di speciale, per la vicinanza a tutti i livelli con la Spagna. E anche perché qui si vive il ciclismo con più passione rispetto a qualunque altro Paese del mondo. Il 2025 era perfetto perché volevamo festeggiare il novantesimo anniversario della Vuelta e così abbiamo deciso di premiare i nostri “fratelli” italiani e i tanti appassionati che ci sono qui. La Regione ha accettato la nostra proposta ed eccoci qui oggi.
Che cosa ti ha colpito del Piemonte?
L’interesse e l’entusiasmo in primis, non solo del suo presidente, ma da parte di tutti. Il Giro d’Italia è partito da qui tante volte, l’anno scorso c’è stata anche la tappa del Tour de France. Mancava soltanto la Vuelta per completare la trilogia dei Grandi Giri. Mi è piaciuto anche come le due culture si siano intrecciate ed ho trovato molto interessante i piatti rivisitati dagli chef locali che mischiassero la cucina piemontese con le specialità spagnole. Per quanto riguarda i luoghi, Torino è una città dalla storia impressionante e la zona prealpina è altrettanto fantastica. Questa combinazione verrà valorizzata in tutto il mondo grazie alla grande copertura televisiva e mediatica in generale che la Vuelta garantisce.
Vingegaard sarà il favorito numero uno, visti il palmares e le sue motivazioni: qui in attesa della presentazione a Torino
Vingegaard sarà il favorito numero uno, visti il palmares e le sue motivazioni: qui in attesa della presentazione a Torino
In Italia sarà trasmessa da Eurosport, ma non dalla Rai: pensieri?
Ovviamente a noi avrebbe fatto piacere che la nostra corsa fosse trasmessa anche dalla Rai come accade su Eurosport, che garantisce sempre una grandissima copertura, ma non è stato trovato l’accordo. Comunque, ce ne facciamo una ragione, perché davvero la copertura in Spagna e in 190 Paesi di tutto il mondo è qualcosa di grandioso.
Pensi che le prime tappe italiane possano già muovere la classifica in maniera interessante?
Visto come si corre al giorno d’oggi e il nervosismo che serpeggia nel gruppo, credo che non si debba sottovalutare nemmeno la prima tappa di un Grande Giro perché tutto può succedere. Di solito, la Vuelta inizia con una cronometro individuale, come lo scorso anno a Lisbona oppure a squadre come due anni fa a Barcellona. In questo caso però, abbiamo deciso di cambiare per avere a disposizione il maggior numero di chilometri possibile in Piemonte, così da valorizzare questo bellissimo territorio. Il secondo giorno a Limone si arriva già in salita e si potrà avere qualche verdetto o quantomeno capire chi è in forma e chi no. Il lunedì poi c’è una tappa corta, come piacciono a noi organizzatori della Vuelta, ma dura e intensa. Poi c’è la quarta, che parte dall’Italia e finisce in Francia e ci dà la possibilità per la prima volta di attraversare le Alpi.
Vingegaard contro tutti, la Uae con due capitani come Almeida e Ayuso: che Vuelta sarà?
Speriamo che sia una corsa aperta come negli ultimi anni. Sono d’accordo che Vingegaard sia il favorito numero uno visto il palmares con cui si presenta al via e da quello che ha mostrato al Tour quest’anno. Ma anche lo scorso dopo quel tremendo incidente che l’ha visto protagonista ai Paesi Baschi. Non credo però che Ayuso gli renderà facile la vita. Attenzione anche a Bernal o a corridori esplosivi come Pidcock che renderanno più divertente la corsa. Senza dubbio, la sana rivalità Visma-Uae sarà molto interessante. Non sarà soltanto una lotta di corridori, ma una sfida tra le due corazzate. Per quest’anno sono 1 a 1 nei Grandi Giri e tutti vogliono vedere chi delle due vincerà il secondo e se ci riuscirà.
Fra gli italiani sfilati ieri a Torino, occhi su Giulio Pellizzari, che correrà accanto a Jai Hindley
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Quali saranno le peculiarità di questa Vuelta?
Credo che la prima settimana sarà molto importante, già dalla seconda tappa con l’arrivo in salita a Limone. Poi la cronosquadre come prima frazione spagnola e ancora gli arrivi in salita di Andorra e a Valdezcaray. A questi si sommano due colossi, che arriveranno più avanti. L’Angliru (13ª tappa del 5 settembre; ndr) che, con Zoncolan e Mortirolo, è una delle salite più difficili in Europa, e poi la penultima tappa con l’arrivo alla Bola del Mundo (20ª frazione del 13 settembre,ndr), dove Nibali vinse nel 2010. Poi ancora salite come El Morredero: abbiamo voluto costruire una Vuelta che fosse un compendio di questi 90 anni, un misto tra tradizione, innovazione e internazionalizzazione.
In Italia o in Francia sempre c’è qualche polemica per chi rimane escluso dal percorso, come è accaduto alla parte meridionale della Spagna in quest’occasione. È successo anche da voi?
Certo, come sempre (sorride, ndr). Però, l’anno scorso abbiamo avuto molte tappe al sud della Spagna, per cui abbiamo spiegato che nel giro di tre anni cerchiamo sempre di coprire tutto il territorio iberico. Non è semplice perché la Spagna, come l’Italia e la Francia, offrono davvero moltissime possibilità differenti.
In generale, come sta la Vuelta e come guarda al futuro oltre alla già annunciata partenza dal Principato di Monaco per il 2026?
La Vuelta sta bene ed è una corsa che è cresciuta molto negli ultimi anni. Ha una sua propria personalità, ha un’identità ben precisa. Non abbiamo tante tappe di alta montagna come il Giro o il Tour, ma tanti arrivi in saliti e molti finali insidiosi che la rendono unica e imprevedibile. Dopo Lisbona, il Piemonte e il Principato di Monaco, possiamo già anticipare che per il 2027 l’idea è di partire dalla Spagna. Però è anche vero che dal 2028 torneremo di nuovo a puntare a una partenza all’estero, perché fa crescere il nostro brand ed esporta il nostro prodotto in altri mercati, dandogli un tocco di novità, come accade con Giro e Tour.