La lettura degli articoli e delle lettere che “Città della Spezia” ha pubblicato nelle settimane e nei mesi scorsi sui problemi della sanità è illuminante. Alla fine il puzzle si compone e rivela qual è la principale criticità del sistema: il personale è poco e demotivato. Vale per l’Italia e vale particolarmente per la nostra provincia. E’ questo uno dei problemi più importanti che dovrebbe preoccupare la politica. Se non il più importante, perché riguarda la vita umana.

Ma andiamo per ordine. Le cronache ci parlano innanzitutto di una situazione del pronto soccorso ormai al limite della sopportazione: sovraffollamento; ambulanze in attesa, bloccate in fila, con conseguenti gravi ritardi nell’assistenza sanitaria; pazienti che spesso si trovano costretti a passare la notte in lettighe di fortuna o su sedie, senza un’assistenza dignitosa, a causa della cronica mancanza di posti letto all’interno dell’ospedale. Il pronto soccorso, il primo presidio sanitario per i cittadini e le cittadine, si presenta oggi come un luogo inadatto, insicuro e inospitale.

Una notizia recentissima in materia sanitaria è quella sulla decisione della Regione di accentrare su Genova la centrale operativa del 118, riducendo le attuali cinque centrali presenti sul territorio regionale a una sola, nel capoluogo. Ma il personale che attualmente lavora nelle centrali locali dove finirà? Andrà a tappare qualche buco qua e là? Si perderebbe un patrimonio di professionalità utilissimo ai pazienti: per come è fatto il territorio ligure, per le conseguenti problematiche connesse alla geolocalizzazione e alla copertura telefonica e radio, siamo sicuri che non emergeranno difficoltà e problemi per coloro che hanno patologie “tempo dipendenti”?

Il quadro si completa con il problema più grave: la sanità pubblica non è più in grado di garantire le prestazioni in tempi compatibili con i bisogni di salute. Se le liste di attesa hanno tempi inaccettabili, i pazienti sono costretti a rivolgersi al privato. Ma se i costi superano le capacità di spesa, la conseguenza obbligata è la rinuncia alle prestazioni sanitarie da parte delle fasce più povere della popolazione: è quello che sta avvenendo.

Ancora: la medicina e le strutture territoriali languono, i privati dilagano. Ma i costi per i ricoveri dei “non autosufficienti” sono sempre più alti, e anche in questo caso non sono sostenibili per molte famiglie.

Una buona notizia è che il cantiere del nuovo ospedale del Felettino pare finalmente avviato. Solo quando il nuovo ospedale entrerà in funzione – non prima – si potrà risolvere il problema a cui ho accennato scrivendo del pronto soccorso: quello dei posti letto insufficienti. Ma, oltre alla questione delle casse pubbliche che saranno devastate dal pagamento dei canoni al privato che realizzerà l’ospedale, va affrontata la questione sollevata, tra i tanti, dal dottor Giorgio Ferrari – primario e direttore del dipartimento di chirurgia dell’ospedale Sant’Andrea: “Il Felettino rappresenta un salto di qualità per la sanità spezzina, ma senza un numero adeguato di medici, infermieri e tecnici, rischia di rimanere un contenitore vuoto”. Nessuna innovazione strutturale o tecnologica può sostituire il capitale umano, ha detto Ferrari: “serve un piano urgente di reclutamento e formazione del personale sanitario, per accompagnare sin da ora la fase di transizione e garantire che il nuovo ospedale sia non solo moderno, ma anche funzionale e realmente operativo”.
Tutto porta al punto chiave: le gravi carenze di infermieri e di alcune specialità mediche, ma anche il livello di demotivazione e disaffezione del personale, dimostrato dai pensionamenti anticipati e dai licenziamenti volontari. Il problema è anche quello degli stipendi tra i più bassi d’Europa, sia per medici che per infermieri: anche rispetto a Paesi come la Spagna, la Polonia, e perfino (extraeuropeo) la Turchia.

Marinasco, la Pieve di Santo Stefano (2020) (foto Giorgio Pagano)

Marinasco, la Pieve di Santo Stefano (2020) (foto Giorgio Pagano)

A Spezia c’è pure un problema peculiare di scarsa attrattività del sistema: come mai c’è una così scarsa partecipazione ai concorsi? Dipende anche dai costi della città? Come può un infermiere che viene da fuori sobbarcarsi con il suo stipendio i costi dell’affitto della casa e pure del parcheggio – perché il Sant’Andrea non lo ha per i propri dipendenti? Non sono forse temi su cui riflettere in una città in cui le case in affitto si trasformano in b&b e in cui chi amministra pensa ai parcheggi gratuiti solo per chi va in b&b? Bene puntare sul turismo: ma i turisti a volte hanno purtroppo bisogno del pronto soccorso o dell’ospedale, e se li trovano inospitali certo non torneranno in futuro.

A livello nazionale – spiega Nino Cartabellotta della Fondazione Gimbe – “serve un rifinanziamento progressivo e costante per recuperare l’enorme gap accumulato in 15 anni”. Nel 2010 l’Italia aveva una spesa pubblica pro capite pari a quella della media dei Paesi europei; nel 2023 il gap è di circa 700 euro a testa, ovvero circa 40 miliardi.
Servono anche – aggiunge – “coraggiose riforme di sistema, in grado di permettere anche il recupero di risorse da sprechi e inefficienze”. Da molti anni scrivo che occorre tornare al pubblico ma anche che il pubblico deve diventare più efficiente; e ho fatto qualche proposta, anche per la sanità. Confesso che sono diventato nel tempo – fino a scriverne molto meno – parecchio pessimista: il motivo è la crisi radicale del regionalismo. Sono sempre stato un “neomunicipalista”, sostenitore dei Comuni e non delle Regioni, istituzioni senza una storia alle spalle e senza un radicamento popolare. Ma mai mi sarei aspettato che le Regioni diventassero così decisive nella politica italiana e che lo scarto tra aspettative e risultati fosse così enorme. Una volta si viveva più a lungo al Sud che al Nord, ora è il contrario. I fattori sono più d’uno, ma certamente c’entra anche la regionalizzazione della sanità, che ci rende così diversi di fronte alla vita e alla morte. Le Regioni si sono trasformate in uno dei principali ostacoli al miglioramento delle funzioni pubbliche – forse anche perché sono gli unici enti che spendono quasi esclusivamente soldi trasferiti dallo Stato e non provenienti da tasse proprie – e stanno anche favorendo una rifeudalizzazione della politica. Non a caso tanti presidenti di Regione – i nuovi cacicchi – vorrebbero restarci a vita.

Abolire le Regioni non si può, oggi sarebbe utopia. Non dobbiamo mai rinunciare all’utopia ma al contempo dobbiamo fare qualcosa di concreto per rendere le Regioni più efficienti e per togliere radici al cacicchismo.
Il cacicchismo ligure ha fatto del gran male, tra l’altro, alla sanità spezzina. Cito le parole pronunciate da Luca Comiti alla grande manifestazione “Siamo stufi di essere pazienti” del 14 giugno 2024:
“Siamo all’ultimo posto per numero di addetti e posti letto in relazione alle altre province liguri. Mancano oltre 1000 medici e infermieri rispetto alla media delle altre provincie liguri; mancano 164 posti letto negli ospedali Sant’Andrea della Spezia e San Bartolomeo di Sarzana rispetto allo standard nazionale; mancano 1500 posti letto nelle residenze sanitarie rispetto alle media delle altre province liguri”.

Quando discuto sui miei libri sul Sessantotto faccio sempre l’esempio della riforma sanitaria del 1978, frutto di quella stagione. Fu la più importante realizzazione universalista del welfare italiano, in attuazione della Costituzione. Il suo nome era “Istituzione del Servizio sanitario nazionale”. Non possiamo che ripartire da lì: da un modello di salute nazionale, universalistico, pubblico, gratuito. La salute non è una merce, è un diritto garantito dal welfare pubblico, un diritto sociale e di libertà sancito dalla Costituzione.
Serve una visione alternativa alla retorica secondo cui non possiamo più permetterci un Servizio sanitario nazionale, falsamente dichiarato “insostenibile”. Non spendete nel riarmo, diventerà sostenibilissimo! Quello che non possiamo permetterci è invece il silenzio. Continuiamo sulla scia del 14 giugno 2024, impegnandoci per dare priorità alla salute, per allocare più risorse nazionali, per investire sul personale, per dare vita in Liguria e alla Spezia a un rinnovato e più efficiente modello di sanità pubblica e di cura.

Le fotografie di oggi – una veduta dall’alto della città e una della Pieve di Santo Stefano – sono state scattate nel 2020 a Marinasco.

lucidellacitta2011@gmail.com