Si parte da qui per capire
l’affascinante incontro, tra lo storico padiglione nazionale ai Giardini della
Biennale e l’effimera Kunsthalle della Sachs, proposto dal collettivo di
curatrici, formato dalle architette del gruppo Annexe; Elena Chiavi, Kathrin Füglister, Amy Perkins
e Myriam Uzor, alle quali si aggiunge l’artista Axelle Stiefel. Un
progetto aperto, flessibile, temporaneo e carico di attese che invita ogni
visitatore a riflettere su uno spazio giocoso. Un omaggio alla figura di
Lisbeth Sachs, tra le  prime architette
svizzere indipendenti, e alla potenza lirica della voce nei dialoghi che
diventano un canto corale dei vari attori del cantiere, il luogo della
costruzione. Un inno alla collaborazione e a “l’altra metà del cielo” anche in
architettura. Per Lisbeth Sachs, la costruzione era un processo che iniziava
dall’artigianato, passava dalla scelta dei materiali per finire con
l’appropriazione degli spazi da parte delle persone. La sua architettura si
declinava tra il genius loci, la cura per l’ambiente e l’attenzione alla
società. La sua concezione interdisciplinare è ancora attuale e diventa fonte di
ispirazione. Se fosse un film, questo padiglione
s’intitolerebbe «Bruno e Lisbeth, un incontro fra due Kunsthallen» per
raccontare l’assenza storica delle architette nei Giardini della Biennale e
fare memoria di un lavoro magistrale e sconosciuto. Del progetto selezionato
dalla Fondazione Pro Helvetia, tramite concorso, abbiamo parlato con  Elena Chiavi(1989, Châtel-St-Denis), architetta del gruppo Annexe
che opera tra Losanna, Zurigo e il mondo.