A Melpignano i tamburelli hanno smesso di battere, ma l’eco delle polemiche social sulla 28esima Notte della Taranta firmata dal Maestro David Krakauer quest’anno sembra particolarmente intensa. Sono contrastanti le riflessioni dei «commentatori da tastiera», che dai loro comodi divani (o lettini in spiaggia, vista la stagione) spaziano dalla politologia alla critica musicale in base al momento dell’anno. Eppure nei loro toni accesi un filo conduttore c’è: la troppa distanza dalla tradizione.

Nulla che non fosse già stato annunciato: il Maestro aveva promesso contaminazioni e nuovi linguaggi, eppure i puristi delle radici locali difendono a spada tratta la storia del Concertone. Come nel caso delle coreografie di Fredy Franzutti: il corpo di ballo popolare ha lasciato il posto a nuovi linguaggi più contemporanei, ma sul web c’è chi parla di «falsificazione storica». «Lo statuto della Fondazione prevede la tutela delle tradizioni locali, non la riscrittura. Alcuni balletti non c’entravano nulla». Dubbi anche sull’Orchestra, quest’anno un po’ più defilata, per esigenze di tempi televisivi: «La colonna portante della Taranta ridotta a comparsata per accompagnare ‘sti scappati di casa», commenta amaramente un utente su Facebook. Ma non tutti sono d’accordo con l’epiteto: forti sono stati infatti gli applausi per Giuliano Sangiorgi e la sua struggente «Lu rusciu te lu mare», o in difesa di Ermal Meta che ha portato «Lule Lule». «È un brano della tradizione arbëreshe che fa parte della cultura salentina. Basta con i paragoni con il sirtaki, che per anni avete accettato senza dire nulla». O ancora Serena Brancale, «accusata» di aver semplicemente eseguito il brano senza immergersi nelle coreografie o nello spirito della pizzica: «Mamma mia quanto siete cattivi. È una delle poche che conosce davvero la musica, spontanea, senza filtri», la difesa di un’utente. Dubbi anche sul finale che non ha rispettato la tradizione: gli ospiti non sono risaliti sul palco per «Calinitta», nonostante la conduttrice Ema Stokholma avesse dato appuntamento «a dopo». «Per la prima volta ho spento la tv prima della fine», confessa uno spettatore deluso.

Eppure i momenti esclusivamente tradizionali non sono mancati. Scrosci di applausi per il Canzoniere Grecanico Salentino, custode di 50 anni di storia del territorio, e per Antonio Castrignanò, che è tornato a incendiare Melpignano dopo anni di assenza, tra stornelli scritti sulla mano ed energia travolgente. «La notte della Taranta dovrebbe essere tutta così, ballata dalle pizzicate e cantata dai gruppi locali – uno tra i commenti più apprezzati – Bisogna tornare alle origini». E poi l’azzardo: «Passerei il timone di Maestro Concertatore a Castrignanò, dopotutto i suoi concerti riempiono le piazze e ha esperienza da vendere».

Lasciando perdere i paragoni perché ogni edizione porta una firma personale, la domanda ricorrente sembra però una sola: quanto può contaminarsi la Taranta senza perdere se stessa? Senza che il pubblico la percepisca come un «Festivalbar della pizzica cantata male da artisti che con il Salento non hanno nulla a che fare, una passerella di massa, un attentato alle radici del Salento»? «Perfino il vademecum distribuito al pubblico, con la regola dei 5 litri di vino a comitiva, sembrava un segnale». Vince il ritorno alle origini o l’apertura alle contaminazioni, alle collaborazioni internazionali, persino alle derive pop? Nell’attesa di scoprirlo, meglio prenderla con filosofia, come consiglia un commento sotto una foto di Krakauer: «Maestro, spero proprio te l’abbiano spiegato il concetto di “comu te giri giri, sempre a retu l’ha pijare”».