In Italia, quella del personale infermieristico è una crisi poco visibile ma terribilmente concreta. Oggi, secondo i dati più recenti della Federazione Nazionale degli Ordini delle Professioni Infermieristiche (FNOPI) e della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, il 50% degli infermieri italiani ha più di 50 anni e solo il 3% dei professionisti nella fascia 21-25. A meno di cambiamenti radicali, il rischio concreto, tra vent’anni, è di non avere più abbastanza personale per garantire il funzionamento del nostro sistema sanitario.

Una fotografia drammatica della professione.

Analizzando le statistiche, l’invecchiamento del personale è evidente. Il gruppo più ricco è quello tra i 51 e i 55 anni (18,2% del totale), seguito dagli infermieri tra i 56 e i 60 anni (16,1%) e da una consistente fetta (15%) che ha già superato i 60 anni. Al contrario, i giovani sono pochissimi: solo il 3,16% degli iscritti ha tra 21 e 25 anni. Il 48% della forza lavoro si concentra tra i 26 e i 50 anni, ma questa “pancia” della professione sta velocemente invecchiando.

Numero chiuso: un sistema da ripensare?

Nonostante questa fotografia allarmante, per l’anno accademico 2025-26 il numero chiuso ai corsi di laurea in Infermieristica e nelle altre Professioni Sanitarie è stato mantenuto. Un paradosso, se si pensa che la domanda di assistenza è in aumento esponenziale, sia per il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione (entro il 2050, il 34,9% degli italiani avrà oltre 65 anni), sia per la cronica carenza di personale già registrata nelle corsie.

Gli aumenti di posti disponibili (nel 2025, +3,8% per i corsi sanitari) sono insufficienti a colmare il gap tra pensionamenti attesi e nuovi ingressi. La situazione è aggravata dalla scelta di molti giovani di cercare occupazione all’estero o di rinunciare a entrare in un settore percepito come sottovalutato e sottopagato.

Un confronto internazionale impietoso.

Lo stipendio medio annuo lordo degli infermieri italiani è di 32.400 euro, poco più della media degli impiegati del nostro paese e ben al di sotto della media OCSE (39.800 euro). Le differenze interne sono notevoli: in regioni come Trentino-Alto Adige, Emilia Romagna e Toscana si superano i 35.000 euro annui, mentre in Molise, Campania e Calabria ci si ferma sotto i 30.000 euro. Ma ovunque, le condizioni economiche non compensano la pesantezza del lavoro e la crescente richiesta di prestazioni extra, spesso non riconosciute.

La carenza è mondiale e le soluzioni facili non esistono

Molti paventano l’idea di importare personale dall’estero, ma i numeri smentiscono questa ipotesi. Secondo il rapporto OMS 2025, il 33% degli infermieri a livello globale ha meno di 35 anni, mentre il 19% ha 55 anni o più. Tuttavia, in 20 paesi ad alto reddito (compresa l’Italia) il numero di pensionamenti previsti nei prossimi dieci anni supera già la quantità di giovani in ingresso, rendendo la competizione internazionale sempre più serrata.

Il deficit è aggravato dalla distribuzione diseguale: il 78% degli infermieri lavora in paesi che rappresentano solo la metà della popolazione mondiale. Nei paesi a basso reddito — e in alcune aree del Sud Italia — la densità scende a meno di 4 infermieri ogni 1.000 abitanti, a fronte di una media europea di 8,4 (dati OCSE).

Le cause profonde della crisi:

  • Numero chiuso e limitata programmazione universitaria: pochi posti disponibili rispetto al fabbisogno reale
  • Bassi salari e scarsa valorizzazione professionale: che riducono l’attrattività della professione per i giovani
  • Mancanza di politiche per il ricambio generazionale
  • Disparità territoriali: in Nord Italia, anche grazie ai privati, la densità e i salari sono maggiori che al Sud
  • Accesso farraginoso all’immigrazione di personale qualificato

Le sfide per il futuro.

Senza un cambio di rotta deciso e tempestivo, lo scenario tra vent’anni sarà quello di un sistema a rischio paralisi, incapace di garantire l’assistenza di base, con le famiglie costrette sempre più a rivolgersi a soluzioni private, costose e inique.

È quindi fondamentale:

  • Ampliare i posti nelle Università, eliminando o rendendo più flessibile il numero chiuso, anche prevedendo percorsi facilitati di accesso e laurea per chi già lavora nel settore sanitario
  • Aumentare i salari, riallineandoli almeno alla media UE e premiando la professionalità
  • Promuovere programmi di fidelizzazione e permanenza nel Sistema Sanitario Nazionale
  • Incentivare la formazione continua, la carriera e il rientro di chi lavora all’estero
  • Superare la storica differenza Nord-Sud, con investimenti specifici nelle aree più carenti

Il patrimonio di competenze infermieristiche italiane è un bene pubblico che va preservato e potenziato. Sta ora alla politica e alle istituzioni assumersi la responsabilità di un cambiamento necessario, per garantire a tutte e tutti non solo l’accesso alle cure, ma anche dignità e valore a una delle professioni più importanti per la nostra società del futuro.

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