Il grande interrogativo in F1 resta sempre lo stesso: la Federazione Internazionale ha davvero imboccato la strada giusta per garantire un equilibrio sul rendimento con le nuove Power Unit 2026? La disciplina ADUO, infatti, sembra non toccare il cuore del problema. Limitarsi a monitorare la potenza del motore a combustione interna, quando la vera discriminante sarà la gestione dell’energia elettrica è la mossa giusta? Pare di no.
ICE sotto osservazione, ma con margini di manovra
Anzitutto va detto che la vera discriminante sarà la gestione dell’energia elettrica attraverso un moto generatore, l’MGU-K, addirittura tre volte più potente rispetto ad ora. Un’arma che rischia di essere spuntata, in quanto se il recupero di energia non sarà efficace potrebbero mancare all’appello tantissimi cavalli e di riflesso si manifesterebbe un livello di performance più basso che farebbe una differenza enorme tra le varie auto.
Un progetto fallito in partenza, tanto che Bem Sulayem, presidente della FIA, ha provato a cambiare le cose il prima possibile passando a motori V10. All’interno del paddock, ragionando sui capi saldi del nuovo ciclo normativo, vedono questa scelta dell’organo legislativo come un compromesso politico più che tecnico. Un contesto in divenire che attualmente abita il caos totale.
Il regolamento stabilisce che, dal 2026 al 2030, la FIA controllerà costantemente i valori di potenza media degli endotermici. Se uno di questi dovesse risultare inferiore oltre la soglia consentita rispetto al migliore, scatterebbero le cosiddette “Additional Development and Upgrade Opportunities” (ADUO). In pratica, un costruttore in ritardo, avrà più libertà di spesa e di prove al banco per recuperare terreno. Il tutto già dopo la quinta gara stagionale.
Va però sottolineato che la stessa FIA si riserva il diritto di togliere questi privilegi se il beneficiario dovesse ribaltare i rapporti di forza in modo eccessivo. In tal caso, l’ADUO cesserebbe di esistere per quel costruttore, ripristinando la parità regolamentare con gli altri. Una misura che sulla carta dovrebbe impedire squilibri troppo marcati, ma che in realtà rischia di rivelarsi fragile considerando che i problemi sulle performance sono ampiamente previsti sul fronte elettrico dagli stessi costruttori.
La logica del BoP applicata alla F1, test segreti e timori crescenti
In fondo, tutto nasce da un’esigenza precisa: scongiurare il rischio che uno solo team domini la nuova era, come accadde con Mercedes all’inizio del ciclo turbo-ibrido nel 2014. Non a caso, i motori di Stoccarda fecero scuola non soltanto nel team ufficiale, ma pure nelle squadre clienti, di fatto lasciando solo le briciole agli altri. Con le nuove PU, l’elettrificazione spinta rischia proprio di creare questo tipo di squilibrio.
La Federazione Internazionale ha introdotto il concetto di ADUO, un BoP (Balance of Performance) mascherato da strumento tecnico, che però, a conti fatti e secondo le previsioni delle scuderie, per ora sembra più un cerotto (pure poco adatto) che una reale cura. Proprio la complessità del nuovo sistema ha spinto la Formula 1 a organizzare sessioni a porte chiuse in Spagna.
La ragione anche in questo caso è facile capire: valutare l’efficacia delle soluzioni in arrivo lontano dagli occhi indiscreti dei media. La percezione generale è che i costruttori stessi stiano vivendo una fase delicata, con i propulsori che già oggi vengono percepiti come un problema più che un’opportunità. I grattacapi previsti fortemente sbilanciati sull’elettrico, va ribadito ancora, rischiano di produrre disparità davvero difficili da contenere.
La prima toppa della FIA con l’ADUO nel fornire a chi resterà indietro uno spazio regolamentare extra per recuperare, senza però stravolgere la filosofia della libera competizione, non offre nessun tipo di garanzia, in quanto la percentuale di successo di questa manovra per evitare l’ennesima egemonia resta una domanda aperta. Un Balance of Performance mascherato che spaventa e non poco tutti quanti.