di
Valerio Cappelli
I vertici della Mostra, Buttafuoco e Barbera, alla preapertura rispondono in maniera decisa agli artisti che vogliono boicottare due colleghi pro Israele
VENEZIA «Si deve far rumore quando i bambini muoiono», dice il presidente della Biennale Pietrangelo Buttafuoco. È una scritta che gli ha procurato «dolore», letta nelle strade della sua Catania: «Non si sta zitti solo quando i bambini dormono, si comincia a gridare quando muoiono».
Arriva la risposta della Mostra del Cinema al polverone dell’appello dei 1500 artisti ProPal. Ken Loach e i suoi fratelli italiani, attori e registi, che avevano chiesto di non invitare due colleghi, l’israeliana Gal Gadot e lo scozzese Gerard Butler reo di aver partecipato a raccolte fondi a favore dell’Idf. La risposta, nell’irrituale serata di pre-apertura del festival, è asciutta come un giunco, nelle parole di Buttafuoco e del direttore artistico Alberto Barbera che dice: «La Biennale è tutt’altro che indifferente a quello che ci circonda, e questo è il modo migliore per mostrare la nostra partecipazione». Altro che indifferenza e cautela rimproverati dagli appellanti, tra cui Bellocchio, Martone, Morante, le sorelle Rohrwacher, Toni e Peppe Servillo.
Nessuno cita in modo esplicito l’appello, che ha provocato reazioni critiche anche in intellettuali di riferimento della sinistra. Ma il messaggio nella bottiglia della Laguna, punteggiata dagli applausi in sala, arriva chiaro. Buttafuoco: «Mi onoro di dare il microfono a don Nandino Capovilla». È il parroco di Marghera espulso da Tel Aviv «per ragioni di sicurezza, impegnato da anni in campagne a favore dei più deboli, anche dei palestinesi. «Mi onoro – dice il presidente – affinché non la speculazione o la strumentalizzazione ma l’atto sacrissimo di verità ci possa condurre a una consapevolezza».
Don Capovilla è durissimo, contro il «disumano massacro di Gaza», contro «il preciso disegno di pulizia etnica cominciato nel 1948». Cita il patriarca emerito di Gerusalemme che nella sua preghiera sul «baratro della carestia» si è rivolto a Dio: «Non resta che contare su di te. Chi sfamerà i nostri bambini? Da tutta la striscia di Gaza gridano a te e nessuno sembra indignarsi. Non c’è una guerra: c’è un genocidio. Quando potremo tornare alla normalità, all’umanità?». Cita anche, e questa è una preghiera laica, Tom Fletcher, sottosegretario all’Onu: «È una carestia crudele giustificata dalla vendetta che avremmo potuto prevenire, tutto a causa dell’ostruzionismo sistematico da parte di Israele». Poi c’è la parte poetica e forse più drammatica, mentre si ripensa ai 18 mila bambini palestinesi uccisi, così come ai 16 bambini nel brutale attacco di Hamas del 7 ottobre. Buttafuoco legge i versi di Euripide «che hanno edificato la nostra civiltà»: a una nonna riportano il corpo straziato di un bambino: «Voi assassini, che traete vanto dalle vostre armi, cosa temevate da questo bambino, ti hanno strappato dalla tua testa i tuoi riccioli che tua madre ha coperto di baci». A scrivere i versi è un nemico catturato, mosso dalla pietà di quella giovanissima morte.
Una presa di posizione netta. D’altra parte, quest’anno alla Mostra c’è il film, in gara, The Voice of Hind Rajab della tunisina Kaouther Ben Hania che racconta quando, nel 2024, i volontari dell’ambulanza hanno ricevuto una chiamata d’emergenza da parte di una bimba di 5 anni, nascosta sotto il sedile dell’auto, intrappolata a Gaza con i parenti morti durante un attacco dell’esercito israeliano.
26 agosto 2025
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