Il colombiano, quarto, sogna di finire in maglia rossa dopo aver vinto Giro e Tour: “I segnali sono buoni”


Ciro Scognamiglio

Giornalista

27 agosto – 08:33 – MILANO

Uno di casa, questo è e sarà sempre Egan Bernal in Piemonte. Lo si è capito una volta di più nei primi giorni italiani della Vuelta, specie l’altro ieri quando la corsa spagnola ha attraversato il Canavese dove il colombiano è ciclisticamente cresciuto: soprattutto tra Buasca, frazione di San Colombano Belmonte, e Cuorgnè. Aveva lo sguardo emozionato e l’aria leggera Eganito, acclamatissimo, primo non europeo di sempre a conquistare sia il Tour sia il Giro ma poi costretto a fare i conti con un grave incidente in allenamento nel gennaio 2022 in cui ha rischiato la vita, e che lo ha costretto a ricominciare da zero. Al Giro d’Italia 2025 è tornato a concludere un grande giro nei primi dieci (7°), a questa Vuelta chiede di più e l’inizio è stato incoraggiante: 4° in salita domenica a Limone Piemonte, è 4° dopo quattro tappe. Bernal – è piemontese pure l’agente che lavora con lui da tempo, il biellese Giuseppe Acquadro – non si pone limiti e parte da un concetto semplice ma non banale: “Se non ci credo io, allora chi dovrebbe farlo?”.

Bernal, che segnali ha avuto da questo inizio?

“Buoni, in particolare domenica quando non avrei dovuto lanciarmi nella volata per il successo. Invece ho visto che risalivo le posizioni con relativa felicità e ci ho provato. Il livello è molto alto qui, anche senza Pogacar, e io mi sono sentito bene. Poi, la gara si deciderà sulle salite lunghe più avanti, ed è su quei tipi di percorsi che dovrò farmi trovare pronto”.

Quali obiettivi si è posto?

“Fare dei passi avanti ulteriori rispetto al Giro d’Italia, dove nella terza settimana non ero riuscito a esprimermi come pensavo, e come volevo”.

È questo l’ultimo gradino che le manca da scalare per tornare il Bernal di prima? 

“Proprio così, e ho tanta motivazione. La mia è stata una risalita non veloce, non poteva esserlo, ma costante. Alla Vuelta ho intenzione di dare il mio cento per cento, non un punto in meno, per non avere rimpianti. Ripeto: se non ci credo io, allora chi dovrebbe crederci?”.

Ha cambiato coach, passando da Xabier Artetxe a Adrian Lopez. Si trova meglio? Quali sono state le modifiche ai programmi di allenamento più rilevanti?

“La differenza più evidente è che quest’anno non sento, finalmente, dolore alla schiena. Mi ha condizionato a lungo, penalizzandomi nel rendimento. Ora è diverso e la cosa si riflette pure nella preparazione. E in gara: uno sforzo come quello di domenica, per esempio, non avrei potuto farlo”.

Parliamo delle emozioni che ha provato in questi giorni piemontesi della Vuelta?

“Lo faccio con piacere, i due anni in Piemonte sono stati importantissimi per me. Incredibile che la terza tappa sia passata proprio davanti alla casa dove ho abitato per un periodo… Ho avuto pure la possibilità di parlare con le persone che mi hanno accolto quando appunto ero un adolescente, facendomi sentire amato. Per l’occasione, hanno messo in sottofondo un po’ di musica colombiana (sorride; ndr)”.

Qui non c’è Pogacar: senza di lui, considera Vingegaard il favorito?

“Sì, per ciò che già ha dimostrato e per come ha iniziato in queste tappe. Non ha paura delle responsabilità, corre da leader”.

La sua Ineos è attrezzata per supportarla?

“Ho fiducia nei miei compagni e queste prime tappe non hanno fatto altro che confermarmela. Possiamo essere competitivi pure nella cronosquadre, con un Ganna in più, e dopo ci saranno un paio di arrivi in salita: questa tripletta darà un primo indirizzo alla Vuelta”.

Dopo essere sopravvissuto all’incidente, dove trova ancora la motivazione per allenarsi e competere con i migliori?

“Mi spingono le sfide, e amo sentire l’adrenalina che ti dà pedalare. È un qualcosa di unico che non è semplice spiegare con le parole. Poi, la spinta che ricevo dal pubblico. Sento dire che la Vuelta è l’unico dei grandi giri che mi manca, che ce la posso fare, che vale la pena provarci. E ne sono convinto anch’io”.

È la terza Vuelta a cui partecipa: nel 2021, dopo aver vinto il Giro, chiuse sesto, ma in quella del 2023…

“Eh, non ho buoni ricordi. Ero riuscito ad arrivare alla conclusione (55°; ndr) ma soffrendo come un cane. Per questo dico sempre che aspiro ad arrivare a Madrid, a metà settembre, con il sorriso sulle labbra. E poi…”.

“Mi piace pensare in grande. Non è detto che la vittoria arrivi, però sono abituato a partire con quell’obiettivo, mai per arrivare secondo. Fino a quando sarò un corridore, ragionerò così”.