di
Sara Gandolfi

Copenaghen convoca il rappresentante diplomatico Usa. «Infiltrati» cercano di promuovere la secessione dell’isola artica. E Trump stoppa un mega-progetto eolico danese

La Danimarca si è stancata di essere «cauta» con Donald Trump. Con un’improvvisa e inattesa presa di posizione, mercoledì il governo di Copenaghen ha convocato il più alto diplomatico statunitense nel Paese per chiedere spiegazioni circa le presunte operazioni segrete condotte dal alcuni cittadini americani in Groenlandia per promuovere la secessione dell’isola artica dalla Danimarca.

La protesta giunge dopo le rivelazioni della Tv di stato danese secondo cui almeno tre individui, appartenenti alla cerchia ristretta del presidente Donald Trump, stanno conducendo operazioni per indebolire i rapporti fra lo Stato danese e la Groenlandia.  Nel suo rapporto, l’emittente pubblica DR cita fonti governative e di sicurezza, secondo cui le «spie» americane avrebbero cercato di infiltrarsi nella società groenlandese con «vari tipi di campagne di influenza».



















































Il ministro degli Esteri danese, Lars Lokke Rasmussen, ha affermato che «qualsiasi tentativo di interferire negli affari interni del Regno sarà ovviamente inaccettabile», e per questo motivo è stato convocato l’incaricato d’affari degli Stati Uniti. 

Il rapporto di DR ha citato in particolare la visita di un americano a Nuuk, capitale della Groenlandia, affermando che stava cercando di compilare un elenco di groenlandesi che sostenevano i tentativi degli Stati Uniti di conquistare l’isola, per reclutarli in un movimento secessionista. Ricostruzione già avanzata lo scorso maggio da un articolo del Wall Street Journal. L’intelligence Usa non negò le indiscrezioni ma accusò il quotidiano di «infrangere la legge e minare la sicurezza e la democrazia della nostra nazione».

Il servizio di sicurezza e intelligence danese PET ha affermato nella sua valutazione che le campagne di infiltrazione avrebbero avuto come obiettivo «creare discordia nei rapporti tra Danimarca e Groenlandia», sfruttando «disaccordi esistenti o inventati» con «agenti tradizionali o tramite la disinformazione». 

Le minacce di Trump: «L’avremo, se necessario con la forza»

La Groenlandia è un territorio semi-autonomo la cui politica estera e di difesa è gestita dal governo di Copenaghen. Fin dal suo primo mandato, Trump ha avanzato pretese territoriali sull’isola che si sono fatte via via più aggressive durante l’attuale presidenza. Il leader Usa ha più volte affermato la volontà di annettere la Groenlandia agli Stati Uniti per ragioni di sicurezza e per le sue terre rare, senza escludere l’uso della forza. Ipotesi fermamente respinta dai 56.000 abitanti dell’isola, in maggioranza inuit, che alle ultime elezioni hanno premiato i partiti locali meno inclini a scendere a patti con gli Usa. Ne è scaturito un governo di coalizione a quattro partiti in difesa dell’autodeterminazione.

La Danimarca, alleata degli Stati Uniti nella Nato, e la Groenlandia hanno più volte riaffermato che l’isola non è in vendita e Copenaghen ha di recente stanziato 14,6 miliardi di corone (circa 1,95 miliardi di euro) per rafforzare la presenza militare nelle regioni artiche e nordatlantiche.

La «vendetta» di Trump. E Rasmussen: «È come Xi e Putin»

In questo contesto sempre più teso fra due alleati Nato, si inserisce il dietrofront dell’Amministrazione Trump nella costruzione di un grande parco eolico al largo della costa del Rhode Island, del valore di 1,5 miliardi di dollari, di proprietà della multinazionale danese Orsted. Il progetto Revolution Wind era già completato all’80% – Orsted sostiene di aver già installato 45 delle 65 turbine eoliche – e la «sospensione» decretata da Trump ha fatto crollare lunedì le azioni della società, di cui il governo danese detiene il 50,1%. Una decisione che, sottolinea il Financial Times, guarda caso è arrivata «poche ore dopo che il ministro degli Esteri danese si era schierato al fianco del governatore della California Gavin Newsom, autoproclamatosi leader democratico della “resistenza” a Donald Trump».

Durissimo il commento di Anders Fogh Rasmussen, ex premier danese ed ex capo della Nato: «La cosa spaventosa della retorica di Trump è che è molto simile alla retorica di Putin e Xi Jinping. Dovremmo trattare Trump allo stesso modo in cui trattiamo Putin e Xi Jinping», ha detto al Financial Times. «Gli autocrati rispettano solo una cosa: il potere, una posizione ferma».

27 agosto 2025 ( modifica il 27 agosto 2025 | 15:53)