Nel regno animale, gli individui di sesso maschile possiedono una classe di cellule il cui unico obiettivo è garantire la produzione continua di spermatozoi. Cellule staminali spermatogoniali, è così che le chiamano gli addetti ai lavori. In un recente studio, un team di ricercatori guidato dall’Università di Kyoto ha utilizzato queste cellule per indagare sia i potenziali danni causati dalle radiazioni cosmiche durante i voli spaziali, sia l’utilità della conservazione della linea germinale nello spazio.
La stazione spaziale internazionale. Crediti: Nasa
Finora la maggior parte delle missioni spaziali ha avuto una durata di pochi mesi. Con i progressi tecnologici, tuttavia, sta diventando sempre più concreta la prospettiva di missioni pluriennali. Questi voli spaziali a lungo termine comportano però diversi rischi per la salute: fattori di stress come radiazioni, microgravità e alterazioni del ritmo circadiano possono infatti indurre varie disfunzioni biologiche. Tra queste rientrano le alterazioni alle cellule staminali dedite alla produzione dei gameti maschili e dunque alla riproduzione. Comprendere l’impatto di queste condizioni sulla biologia delle cellule germinali è quindi essenziale.
Con questo obiettivo, il ricercatore dell’Università di Kyoto Mito Kanatsu-Shinohara e il suo team hanno avviato una ricerca volta a valutare i danni alle cellule staminali spermatogoniali arrecati dalla permanenza per circa sei mesi sulla Stazione spaziale internazionale (Iss) e le eventuali conseguenze sugli individui concepiti a partire da questa linea cellulare. Nello studio, i cui risultati sono stati pubblicati di recente sulla rivista Stem Cell Reports, il team ha utilizzato cellule staminali germinali di topo, una specie caratterizzata da un ciclo riproduttivo molto più breve rispetto a quello umano e quindi più adatta allo scopo.
Il progetto sperimentale utilizzato per la ricerca è il seguente. Il primo passo è stato ottenere cellule germinali di topo da individui adulti. Dopo un certo periodo di tempo trascorso in coltura, un milione di queste cellule sono state raccolte e conservate a meno 80 gradi Celsius all’interno di particolari criotubi. Successivamente, i criotubi sono stati posti all’interno di speciali criobox e lanciati verso la Stazione spaziale internazionale il 14 luglio 2022 a bordo della CRS-25, la 25ma missione di rifornimento della stazione spaziale, operata da SpaceX. Una volta raggiunta la stazione spaziale, i campioni sono stati stivati a meno 95 gradi Celsius all’interno del Minus Eighty-Degree Laboratory Freezer for ISS (Menfi), un congelatore sviluppato dall’Esa per la conservazione dei campioni. Dopo 181 giorni nello spazio, l’11 gennaio 2023 le cellule sono state riportate sulla Terra con la missione SpaceX CRS-26 e trasportate ai laboratori dell’Università di Kyoto. Qui, dopo essere state opportunamente scongelate e ricoltivate in vitro, le cellule sono state sottoposte a molteplici analisi.
Schema del disegno sperimentale della ricerca. Crediti: Mito Kanatsu-Shinohara et al., Stem cell Reports, 2025
I primi esperimenti condotti sui campioni hanno riguardato due test in vitro volti rispettivamente a valutare la vitalità e la corretta espressione genica delle cellule ed eseguiti utilizzando come controllo cellule crioconservate sulla Terra, dunque non sottoposte ad alcuna radiazione spaziale. In entrambe i casi, le indagini non hanno mostrato alcuna differenza significativa tra le cellule conservate nello spazio e quelle conservate sulla Terra, dimostrando che le cellule staminali germinali criocongelate sono relativamente resistenti all’irradiazione, probabilmente grazie a un meccanismo protettivo specifico.
La successiva fase della ricerca ha riguardato l’esecuzione di un test in vivo, nel quale l’impatto dell’ambiente spaziale è stato ulteriormente valutato su topi infertili, ai quali sono state trapiantate nei testicoli le cellule germinali vissute nello spazio. In questo caso, dopo tre-quattro mesi dal trapianto, gli individui sono stati fatti accoppiare naturalmente con femmine fertili, riuscendo a generare una prole. A questo punto, sono state condotte delle indagini sui cuccioli, i cui risultati hanno mostrato che i piccoli topi erano completamente sani.
La prole derivata da topi maschi trapiantati con cellule germinali crioconservate nello spazio non ha mostrato nessuna variazione significativa dell’espressione genica, né difetti congeniti evidenti o modelli di imprinting genomico anormali, sottolineano a questo proposito i ricercatori. Si tratta di risultati promettenti, aggiungono, ma che non chiudono la questione: restano infatti da chiarire gli effetti del volo spaziale sulle cellule staminali germinali e sugli individui che da esse si originano su tempi scala ancora più lunghi.
A differenza di ciò che accade nel caso delle cellule differenziate, qualsiasi danno alle cellule germinali potrebbe accumularsi ed essere trasmesso con i gameti alla prole, concludono i ricercatori. In questo senso i modelli animali sono essenziali per tale ricerca. Per questo motivo, la valutazione della fertilità delle cellule staminali di topo crioconservate nello spazio non rappresenta soltanto una nuova risorsa per la conservazione delle linee di cellule germinali, ma costituisce anche uno strumento prezioso per comprendere i rischi biologici correlati alle missioni spaziali a lungo termine.
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