A Settimo Torinese non si muove foglia senza che una telecamera la riprenda. Almeno così vorrebbe farci credere Elena Piastra, che come da tradizione inaugura i lavori di installazione di nuovi occhi elettronici con il solito doppio annuncio: prima il post istituzionale del Comune, poi il copia-incolla sul suo profilo personale, condito da ringraziamenti, parole altisonanti e la sfilza di luoghi in cui presto compariranno gli impianti.

Peccato che da un po’ di mesi a questa parte i “like” scarseggino. Solo critiche. Tante critiche. Una marea di critiche.  A difendere il fortino, manco fosse un bodyguard, questa volta, ci pensa l’assessore Angelo Barbati, promosso sul campo a social media manager. Lei annuncia, lui replica. Lei raccoglie i consensi che non ci sono, lui si prende sonori schiaffi. Una divisione dei ruoli che, più che a un’amministrazione comunale, fa pensare a un numero da avanspettacolo.

 

“Nel 2019 avevamo circa 100 telecamere, oggi quasi 260. Uno strumento capillare, determinante, utile alle Forze dell’Ordine”. Parole che sembrano uscite da un manuale di marketing piuttosto che da una valutazione concreta dei bisogni della città. Perché va bene parlare di deterrente, va bene elencare via Buonarroti, via Falcone e Borsellino, il sottopasso dell’autostrada, Villaggio Olimpia e via Matteotti. Va bene dire che la Prefettura ha dato un contributo e che alcune spese le copre il Comune. Ma la sostanza è un’altra: le telecamere spesso non funzionano, e quando funzionano servono più a fare scena che a garantire sicurezza. E la gente lo sa, perché troppe volte si è sentita rispondere “quella telecamera era spenta”.

Il risultato? Uno sfogatoio pubblico. C’è chi ricorda che le promesse di una centrale operativa attiva sono rimaste sulla carta per anni, chi fa notare che in certi quartieri la corrente salta di continuo e che in via Verdi le luminarie natalizie sono spente da anni. E poi c’è chi ironizza, chiedendo di mettere le telecamere direttamente dentro l’ospedale o vicino ai cassonetti dove i topi fanno più paura dei ladri. Insomma, altro che microcriminalità: la gente è esasperata dai problemi quotidiani, quelli veri, che nessuna telecamera potrà mai risolvere.

In mezzo a questa valanga di osservazioni concrete, arriva la risposta di Barbati, il soldatino fedele: “La centrale è operativa, le telecamere collegate in tempo reale, i Carabinieri hanno accesso diretto”. Una formula rassicurante, quasi recitata a memoria, che però non convince nessuno. Perché la città è fatta di esperienze vissute, non di slogan. E quando ti rubano la bicicletta e ti dicono che la telecamera non funzionava, puoi sentirti raccontare mille volte che “tutto è operativo”, ma la fiducia se ne va.

La sindaca, intanto, non risponde, non replica, non si abbassa a discutere. Troppo rischioso: meglio lasciare che sia qualcun altro a fare da parafulmine. Così resta la scena surreale di un Comune che celebra se stesso per avere installato centinaia di occhi elettronici e di una popolazione che invece si sente sempre più trascurata nei bisogni reali. Perché una città non vive di telecamere, ma di strade sicure da percorrere, lampioni che funzionano, piazze curate, marciapiedi a prova di anziano.

Insomma, moltiplicare gli annunci, aumentare i numeri, giocare la carta della percezione della sicurezza non basta più. Le telecamere possono dissuadere, forse. Possono aiutare le Forze dell’Ordine, a volte. Ma non possono sostituire politiche serie di prevenzione, di cura del territorio, di manutenzione. E soprattutto non possono sostituire il dialogo vero con i cittadini, quello che parte dall’ascolto e non dal proclama.

La differenza la capiscono tutti: una telecamera può anche riprendere un ladro, ma non impedirgli di agire. Una telecamera può registrare un gradino lasciato in mezzo a una strada asfaltata male, ma non lo toglie. Una telecamera può immortalare la scritta “guasto” su un impianto elettrico, ma non lo ripara. E allora, a cosa serve tutto questo teatro? A raccontare una città che non c’è, a trasformare la sicurezza in spettacolo e i social in palcoscenico.

La realtà è che a Settimo non è più il Grande Fratello a guardare i cittadini. Sono i cittadini a guardare il Comune, e a non credere più a ciò che vedono.