L’attore ospite di «Che Spettacolo!» ha ripercorso la sua carriera: «Non è necessario avere sempre lo stesso punto di vista. Con le mie figlie mi accomuna Nolan»
VENEZIA Ora sfila sul tappeto rosso, il suo nome tappezza i cartelloni del Lido (dove, sabato, presenterà Fuori concorso Il maestro) e riempie le sale. Non solo al cinema, ma anche quella dell’Excelsior dove ieri ha conversato con Paolo Mereghetti nell’incontro di Che Spettacolo! introdotto da Elisabetta Soglio. Eppure, quando aveva 16 anni, Pierfrancesco Favino qui al Lido era «uno di quei ragazzi che vedo oggi, con lo zainetto, che si mettono vicini alle transenne: speravo di vedere qualcuno e magari intrufolarmi in una proiezione». Quel «sacro fuoco», assicura, non è cambiato. «La differenza è che oggi di quel sogno conosco alcune regole, ma il rapporto intimo con il mio mestiere continua a evolvere. Anche il film che presento qui, è un passo di maturità diverso: è la direzione verso cui vorrei andare anche se la mia è una continua ricerca, che non mi stanco di fare». Nell’incontro si è riflettuto a lungo sul senso civico del cinema. Favino ha le idee chiare: «Appartengo a una generazione che si è formata eticamente con i film. Tuttavia non credo sia un dovere del cinema indicare una strada, piuttosto è farci fare delle domande, creando una coscienza collettiva». Il cinema non deve dunque educare, ma, anzi, «essere un po’ scomodo», motivo per cui l’attore ha deciso, molti anni fa, di allontanarsi da certi personaggi «bidimensionali». Il riferimento è ai «piccoli monumenti», come li ha definiti Mereghetti, di alcune fiction tv, da Bartali a Ambrosoli. «Allora, forse, c’era una funzione pubblica della tv, si volevano dare esempi positivi. Ma i personaggi negativi sono più affascinanti. Magari anche per la necessità catartica di veder rappresentato il male, così quasi da poterci assolvere da qualche istinto che è parte della natura umana». Anche realizzare un film «può sembrare un inferno: penso a un regista che vive una tensione enorme tra la ricerca della bellezza e il riconoscere il proprio essere finito. C’è una grandissima casualità in tutto quello che è il cinema». La stessa, si direbbe, che ha accompagnato anche il suo talento.
I ricordi tornano al Lido, ma quello vissuto da spettatore: «Una volta per cercare un passaggio mi sono buttato su una barca e sopra c’era tutto il cast de L’attimo fuggente». Destino, per chi la vede così. Come quando, durante una conferenza stampa in cui era riuscito a entrare non si sa bene come, bruciò ai giornalisti una delle sole otto domande disponibili: «Dopo 35 anni chiedo scusa a tutti quelli che giustamente si imbufalirono, ma io giuro che non lo sapevo. Era la conferenza dell’Ultima tentazione di Cristo e moderava Costanzo. Disse: se qualcuno vuole fare una domanda… e io alzai la mano. Mi diede la parola, con grandissimo sconcerto da parte di tutti. Ero solo un ragazzo curioso». È forse anche per questo che Favino sente il dovere di pensare a chi giovane lo è oggi: «L’investimento sui giovani è un dovere morale e anche un bisogno etico. Qui a Venezia sono stato premiato con la Coppa Volpi per Padrenostro, film che aveva difficoltà ad essere prodotto, così ho pensato che potevo aiutare. Ho anche recitato per dei debuttanti: sostenere nuove voci è fondamentale. Mi attrae avere a che fare con una visione diversa dalla mia e il desiderio di trovare nuovi sguardi: magari scopro il nuovo Sorrentino». In altre parole, «l’investimento sulla cultura non si può fare solo pensando a cosa tornerà dal punto di vista economico: non mandiamo a scuola i figli perché tutti sono geni ma perché tutti possano imparare».
Pur con visioni diverse: «Anche con le mie figlie, che da sempre respirano cinema, condividiamo la passione ma non sempre gli stessi gusti: mostro loro film che trovano noiosi e loro a me che considero banali. Ma va bene così. E poi ci accomuna Nolan». A questo punto, un giovane spettatore azzarda la domanda peperina: cosa pensa del fatto che in The Odyssey non ci sia neanche un attore mediterraneo? Favino sorride, forse pensando a quando a fare quelle domande c’era lui. E risponde: «È un pensiero che sai bene posso avere (riferendosi alla polemica da lui accesa tempo fa sugli attori americani che recitano ruoli di italiani), ma alla fine penso che l’Odissea sia patrimonio dell’umanità. E poi se nel cast ci fosse stato Favino, sarebbero andata a vederla meno persone». Questo chi lo sa.
28 agosto 2025
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