Il Pixel 10 non è lo smartphone che stravolge le regole, né quello che tenta di riscrivere il rapporto tra hardware e software. È, piuttosto, il frutto di una maturazione lenta, a tratti faticosa, che porta Google a confezionare finalmente un telefono solido, affidabile e capace di rivendicare una propria identità. Non mancano i difetti – alcuni piccoli, altri più difficili da giustificare – ma il messaggio è chiaro: l’era dei Pixel «sperimentali» sembra finita, inizia quella della concretezza. Annunciato il 20 agosto 2025 e disponibile dal 28 dello stesso mese, il Pixel 10 è il modello base della nuova famiglia che include anche le varianti Pro e Pro XL. Prezzo di partenza: 899 euro per la versione da 128 GB. Un posizionamento che colloca lo smartphone direttamente nell’arena dei top di gamma, senza possibilità di ripararsi dietro l’etichetta «mid-range di lusso» che aveva in parte protetto i Pixel precedenti.
Prestazioni al top
La svolta principale del Pixel 10 non si vede a occhio nudo. Si trova all’interno: il Tensor G5, il primo chip Google realizzato da TSMC con processo produttivo a 3 nanometri. Dopo anni di compromessi su prestazioni e dissipazione termica, finalmente il Pixel impara a gestire l’energia con maggiore efficienza. Non è solo una questione di benchmark – che comunque mostrano un netto miglioramento rispetto al passato – ma di esperienza quotidiana. Lo smartphone è fluido, costante, non dà la sensazione di arrancare sotto stress. Durante il gaming o lo streaming video prolungato non mostra problemi di dissipazione del calore. Certo, la GPU integrata non è pensata per i gamer più esigenti, e la scelta di puntare su driver non ancora pienamente ottimizzati riduce il potenziale complessivo. Ma nell’uso reale, quello che interessa alla maggior parte degli utenti, il Tensor G5 fa esattamente ciò che ci si aspetta: garantisce fluidità senza penalizzare l’autonomia.
La camera-bar posteriore, diventata tratto distintivo dei Pixel, rimane al suo posto. A distanza di anni, non è più un vezzo estetico ma una scelta funzionale: tiene stabile il telefono sui tavoli, funge da «trave» quando si usa lo smartphone in orizzontale, e soprattutto offre una firma visiva immediatamente riconoscibile. In un mercato di telefoni sempre più simili, l’identità conta. Lo schermo è un OLED Full-HD+ a 120 Hertz con picco di luminosità fino a 3000 nit. Ottima resa cromatica, visibilità solida anche sotto il sole diretto, supporto HDR10+. Ma manca la tecnologia LTPO: niente frequenze variabili intermedie, solo 60 o 120 Hertz. Una rinuncia che si sente, soprattutto in termini di autonomia potenziale, e che stride considerando la fascia di prezzo. L’audio stereo convince, pieno e bilanciato. Sotto al display, il sensore di impronte digitali ultrasonico funziona finalmente come dovrebbe: rapido, preciso, affidabile. Un passo avanti notevole rispetto ai Pixel “a” che ancora si affidano al sensore ottico.
La compatibilità con gli accessori MagSafe
La novità che si vede e si tocca è PixelSnap, il nome scelto da Google per la sua adozione dello standard Qi2 magnetico. Tradotto: il Pixel 10 è compatibile con tutti gli accessori MagSafe già presenti sul mercato. Una mossa furba, che apre subito a un ecosistema vasto e consolidato, senza costringere gli utenti a ricominciare da zero. La ricarica wireless arriva a 15 Watt, stabile e affidabile, con l’aggancio magnetico che rende tutto più semplice. Una piccola svolta di usabilità che rende evidente come, a volte, prendere spunto da Apple non sia un peccato ma una scelta pragmatica.
Le versioni disponibili sono due: 128 Gigabyte con memoria UFS 3.1 e 256 Gigabyte con UFS 4.0. Non espandibili. La RAM è sempre 12 Gigabyte. Il problema non è tanto la RAM, quanto lo storage: nel 2025, proporre un top di gamma da 899 euro con soli 128 Gigabyte e tecnologia UFS 3.1 è una scelta difficile da difendere. Tra sistema operativo, app sempre più pesanti e giochi che sfiorano i 10 Gigabyte a download, lo spazio si esaurisce in fretta. La versione da 256 Gigabyte non è solo consigliata: è praticamente obbligatoria. Sul fronte connettività, il quadro è contrastante. Bene il 5G, l’NFC, la porta USB-C 3.2, il supporto a eSIM e Nano-SIM. Ottimo il comparto di geolocalizzazione, completo e preciso. Male l’assenza del Wi-Fi 7 e soprattutto del supporto UWB (Ultra Wideband), ormai diffuso nei concorrenti diretti.
Il Pixel 10 arriva con Android 16 e la promessa di 7 anni di aggiornamenti. Una garanzia che vale oro in un panorama dove molti produttori ancora faticano ad andare oltre i tre. L’esperienza Pixel resta quella di sempre: interfaccia pulita, feedback aptici curati, animazioni fluide, niente fronzoli. Il problema, però, è la geografia. Molte delle nuove funzioni basate sull’intelligenza artificiale non sono disponibili in Italia al lancio. Parliamo di nove funzioni assenti, tra cui Call Screen evoluto, blocco automatico delle chiamate spam, alcuni strumenti Pixel Care e persino il servizio SOS satellitare. Il risultato è che il Tensor G5, progettato per dare il meglio proprio con queste funzioni AI, da noi si ritrova a lavorare «a mezzo servizio». Una frustrazione che rischia di penalizzare l’attrattiva del Pixel 10, almeno nel breve periodo.
La batteria da 4970 mAh è la vera sorpresa. Google non ha optato per soluzioni esotiche come le nuove celle al silicio-carbonio, ma l’ottimizzazione del Tensor G5 ha fatto il suo lavoro. Con uso leggero, il Pixel 10 può durare quasi due giorni. Con uso intenso, porta a sera con 5-6 ore di schermo acceso. Un risultato che, considerando i Pixel del passato, sembra quasi miracoloso. La ricarica via cavo a 30 Watt non è da record, ma sufficiente: 55% in 30 minuti. Quella wireless a 15 Watt con PixelSnap è più lenta, ma molto comoda.
Comparto fotografico tra luci e ombre
Il comparto fotografico è da sempre il cuore dei Pixel. Il Pixel 10 punta su una configurazione a tre sensori:
- principale da 48 Megapixel f/1.7 stabilizzato otticamente;
- tele periscopico da 10,8 Megapixel con zoom 5× e funzioni telemacro;
- ultra-grandangolare da 13 Megapixel con autofocus.
Davanti, una fotocamera da 10,5 MP con campo visivo ampio e autofocus. Il teleobiettivo 5× è la novità che fa la differenza. Non solo zoom, ma anche versatilità: scatti da viaggio, ritratti compressi e macro ravvicinate. Funziona bene, meglio di quanto ci si potesse aspettare.
Il sensore principale, invece, è più piccolo di quanto la fascia di prezzo farebbe immaginare: lo stesso montato sul Pixel 9a. Di giorno, le foto sono eccellenti, con la solita resa Google – colori bilanciati, HDR equilibrato, scatti immediatamente pronti per essere condivisi. Di notte, però, i limiti emergono: più rumore, meno dettaglio fine rispetto ai concorrenti dotati di sensori più generosi.
I video arrivano fino a 4K/60fps con stabilizzazione combinata, buona di giorno, meno convincente al buio. La fotocamera frontale convince, soprattutto per la naturalezza degli incarnati.
Conclusioni: chi dovrebbe acquistarlo?
Il Pixel 10 è uno smartphone coerente, maturo, con punti di forza chiari: autonomia, tele 5×, esperienza Google pura. Ma è anche un telefono che deve fare i conti con scelte difficili da comprendere: la memoria lenta sulla versione base, i sensori fotografici che convincono a metà, le funzioni AI assenti nel nostro mercato.
Per chi viene da Pixel 8 o 9, l’upgrade non è rivoluzionario. Per chi vuole un Pixel senza compromessi, meglio guardare ai modelli Pro. Ma per chi cerca un telefono compatto, con il DNA Google e un teleobiettivo vero, il Pixel 10 resta una proposta interessante. A patto di scegliere la versione da 256 Gigabyte – o di attendere inevitabili cali di prezzo che lo renderanno molto più competitivo.
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29 agosto 2025 ( modifica il 29 agosto 2025 | 13:23)
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