Gruppi che offrono servizi – cellulari e droga – a pagamento. Non accade in una delle tante piazze di spaccio della Capitale, ma all’interno del carcere di Regina Coeli, dove ai detenuti basta pagare 500 euro per avere in “affitto” uno smartphone per una settimana. Il cellulare arriva dall’esterno, tramite il “lancio” o i droni – ovviamente va pagato anche il corriere – e non si tratta più dei piccoli telefoni che venivano portati fisicamente dai visitatori dei detenuti, ma di dispositivi con tanto di connessione internet, dotati di schede intestate a insospettabili. Sarebbero diversi i gruppi che si occupano della gestione dei traffici di droga e telefoni, trovati in grande quantità, insieme ad armi rudimentali, durante una perquisizione di pochi giorni fa a Regina Coeli. A far partire le indagini della procura di Roma la denuncia di un detenuto picchiato e tenuto in ostaggio per due giorni da altri quattro carcerati, per essersi rifiutato di nascondere uno degli smartphone. L’uomo, che si trovava nel carcere romano perché sottoposto a misura cautelare, è ora a piede libero in attesa del processo ma sotto choc per quanto subito.
L’incubo. La vicenda risale allo scorso luglio. L’uomo sente altri detenuti parlare dell’arrivo «di cellulari e droga tramite lancio» e un detenuto di un’altra cella gli chiede di «nasconderne uno (telefono, ndr)». Lui si rifiuta e – spiega – quattro detenuti iniziano «a colpirmi con schiaffi e pugni». A quel punto avverrebbe, secondo il racconto dell’uomo agli agenti della penitenziaria, il tentativo di estorsione: una chiamata alla madre con la richiesta di soldi, ma la donna non cede. Gli aggressori «hanno ricominciato a picchiarmi e a farmi dei tagli sulla gamba destra tramite coltelli rudimentali», sostiene l’uomo nella denuncia aggiungendo che «terminata la socialità le violenze si sono momentaneamente interrotte». L’incubo per lui però non finisce, per tutta la notte in due lo avrebbero sorvegliato dopo averlo legato al letto con delle lenzuola. Poi ancora botte, «sia a mani nude che con bastoni nella gamba e soprattutto nella testa». Sarebbe rimasto così, in balia dei suoi aggressori, anche la mattina dopo, senza poter andare in bagno, mangiare, bere, muoversi. Le violenze però non terminano: «Mi hanno inserito – sostiene – due dita nell’occhio destro e hanno spinto tantissimo, pensavo di averlo perso». Addormentatosi dopo che «mi hanno messo in gola le pasticche», continua a far finta di dormire finché, trascorsi due giorni e mezzo, entra nella cella un poliziotto della penitenziaria: «Ho preso coraggio – mette a verbale – e mi sono buttato dal letto con tutto il materasso per chiedere aiuto». Quindi la denuncia e la visita al pronto soccorso dell’ospedale Santo Spirito. Saranno più di 20 per lui i giorni di prognosi. Dura la reazione dell’avvocato che lo assiste, Marco Valerio Verni: «Quello che è accaduto al mio assistito è assurdo. Il carcere può avere funzione educativa o preventiva ma in ogni caso deve garantire l’incolumità fisica dei detenuti. Ed è altrettanto assurdo il fatto che chi è in carcere abbia libero accesso ai cellulari e possa in questo modo continuare ad avere contatti con l’esterno e a delinquere».
Le indagini. In seguito alla denuncia presentata dall’uomo la Procura di Roma ha acceso un faro sul fenomeno dei telefonini e della droga all’interno delle carceri capitoline. E già dai primi riscontri sta emergendo uno scenario ampio, sul quale gli inquirenti stanno valutando anche l’aspetto associativo. In particolare, si è avuta conferma di gruppi di detenuti che offrono “servizi” a pagamento, come droga e possibilità di effettuare telefonate, con un vero e proprio “tariffario”. «Le carceri sono completamente fuori controllo e vi è una gestione del malaffare che si concretizza anche attraverso lo smercio di telefonini», ha commentato Gennarino De Fazio, segretario generale della Uilpa polizia penitenziaria. «Da quando è stato introdotto il reato di detenzione e introduzione dei telefoni cellulari in carcere, è triplicato il valore di mercato del telefonino all’interno del carcere e sono decuplicati i casi di ritrovamento dei telefoni cellulari», conclude De Fazio.
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