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COSENZA – Il telefono cellulare può creare dipendenza. Un fenomeno che, senza far rumore, si sta diffondendo anche nell’area urbana di Cosenza. Chi ne soffre, spesso non riconosce i sintomi. A chiarire quali possano essere i campanelli d’allarme (e come agire) è un’esperta del settore che si occupa di patologie correlate all’uso distorto degli smartphone: la psicoterapeuta cognitivo comportamentale Roberta Colangelo. «Le richieste di aiuto che ci arrivano dall’area urbana cosentina provengono prevalentemente dagli adolescenti. Il disturbo però – chiarisce Colangelo – non riguarda solo la loro fascia d’età. Gli adulti semplicemente non riconoscono la dipendenza da cellulare come una difficoltà, un disagio o un impedimento. I ragazzini invece sono spinti dai genitori preoccupati dalle troppe ore che trascorrono al telefono, dal fatto che diventino scontrosi, facilmente irascibili».
La dipendenza da telefono negli adulti
«Sono perlopiù giovani a Cosenza che con noi affrontano la dipendenza da cellulare, disturbo che però (ripeto) riscontriamo anche in molti adulti. Vedo genitori – racconta la psicoterapeuta cognitivo comportamentale – che si rivolgono a me per altre difficoltà e scopriamo che dietro nascondono una dipendenza da telefono. La voglia poi di riconoscerla e superarla solitamente non c’è. Spesso persone tanto impegnate a livello lavorativo, perdono il confine tra vita professionale e vita privata. Sono sempre reperibili, sempre a disposizione: può capitare a tutti, un po’ per scelta, un po’ per dovere. Succede quindi che l’adulto non abbia la capacità di imporsi su se stesso e dire “ho bisogno di stare un momento offline”».
Dipendenza da cellulare, i campanelli d’allarme
«I sintomi della dipendenza da cellulare – spiega Colangelo – partono da una manifesta irritabilità, dalla privazione del sonno. Nel riposo non ci si rilassa, ma si prende il telefono in mano. Il cellulare viene utilizzato in risposta a un malessere, diventa un modo per non sentire ansia o solitudine. Alle origini della dipendenza del telefono possono esserci diverse motivazioni. Soprattutto nei giovanissimi subentra l’aspetto del farsi conoscere, far parte di un gruppo, farsi notare. I social sono una piazza, dove mostrarsi e apparire al meglio. È sul web che alcuni si rifugiano per scoprire il sentimento di appartenenza, ma a volte iniziano ad avere pensieri disfunzionali».
Non eliminare il telefono, ma arricchire la vita
«Il timore più diffuso – secondo Colangelo – è “gli altri chissà cosa pensano di me”. Ecco un esempio. Mi convinco che se non rispondo subito perdo quel riconoscimento a livello lavorativo, il capo può pensare che non sono una persona disponibile, che non sono capace, che non sono all’altezza. Questo tipo di pensiero va allontanato. Sempre. Piano piano dobbiamo ridurre l’uso del telefono, ma non possiamo solo togliere tempo al cellullare, dobbiamo arricchire la vita con sport, interessi, relazioni. Automaticamente l’utilizzo dello smartphone si ridimensiona. Anche l’adulto deve autoimporsi dei limiti: essere reperibile solo in determinati orari; mettere offline il telefono prima di dormire; ecc. Insomma ci si ritaglia dei momenti in cui si vive il presente senza essere con la testa altrove, ma con la famiglia, con gli amici, con i propri hobby».
Dopamina, video e scroll sui social
I video rappresentano una grossa fetta delle ore dedicate alla permanenza sul web. Non è casuale. Una reazione chimica induce a “volerne sempre più” per effetto del rilascio di dopamina causato dal guardare contenuti audiovisivi in maniera continuata. «Il meccanismo dei video è semplice: più ne faccio uso e più ne voglio. Per questo – afferma Colangelo – nasce la dipendenza. I reel, i social, le infinite notifiche che arrivano, funzionano come un rinforzo positivo: più ne ricevo, più ne voglio. C’è un rilascio della dopamina che ci fa stare bene e quindi nel momento in cui provo piacere con quell’azione, sono indotto a rimettere in atto quel comportamento per sentirmi nuovamente in quel modo. È così che si innesca la dipendenza, il circolo vizioso. Spesso noi scrolliamo, senza sapere quello che facciamo, come stiamo giocando con la dopamina. È un gesto automatico: fisso lo schermo, ma senza realmente guardare ciò che proietta, non siamo lì nel momento presente, la testa è da un’altra parte, non ci interessano, ma ci tolgono tempo di vita».
Dipendenza da smartphone, cosa fare
«Per acquisire consapevolezza sulla dipendenza da telefono – rivela la psicoterapeuta cognitivo comportamentale – basta osservare le nostre sensazioni. Se il telefono è scarico e proviamo ansia, frustrazione, siamo irritabili, se abbiamo la necessità di avere lo smartphone in mano, sono tutti piccoli segnali di allerta. Se la prima cosa che facciamo al mattino è controllare il cellulare, non vuol dire che abbiamo già una dipendenza, ma dovrebbe farci capire che forse è il caso di ridurne l’uso. Il telefono stesso può esserci d’aiuto. Esistono app che monitorano il tempo che noi trascorriamo al cellulare (riscontro spesso illuminante), i social possono essere disattivati, la sveglia può ricordarci che si è superato il limite che ci siamo imposti. Il telefono oggi è uno strumento indispensabile, il problema è quando annienta tutto il resto, quando preferiamo stare a casa al cellulare invece che uscire. Quando si ha quell’impulso, quell’istinto irrefrenabile di dover rispondere subito a una notifica, bisogna temporeggiare. Aumentando sempre di più i tempi d’attesa, quell’ansia, quel disagio, non lo sentirò più. Serve abituarsi».
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