«L’obbligo vaccinale è sempre più oggetto di letture ideologiche e strumentalizzazioni politiche, riducendo una strategia di prevenzione ad una mera questione legislativa e polarizzando il dibattito pubblico». Nino Cartabellotta è presidente della Fondazione GIMBE, che dal 1996 promuove l’integrazione delle migliori evidenze scientifiche in tutte le decisioni politiche, manageriali, professionali che riguardano la salute delle persone. È stato fra i firmatari della petizione che chiedeva l’uscita dal Comitato tecnico consultivo nazionale sulle vaccinazioni di due membri ritenuti vicini all’area no-vax e ha fatto sentire la propria voce nel periodo della pandemia e per sostenere sempre la necessità delle vaccinazioni nonostante le tante campagne antivacciniste e le proposte che arrivano anche in Parlamento.

Obbligo vaccinale. Lo si continua a mettere in dubbio. L’errore sta nella comunicazione? Nella difficoltà di lettura dei dati? Nell’interpretazione politica di dati scientifici?
«L’errore più grave è stato trasformare un pilastro della sanità pubblica in una bandiera politica, spostando l’attenzione dalla tutela della salute collettiva alla ricerca del consenso elettorale. In un clima simile, anche le evidenze scientifiche più solide vengono messe in discussione e la comunicazione perde forza. È mancato un fronte istituzionale compatto: troppo spesso la salute pubblica è stata sacrificata sull’altare della convenienza politica. Infatti, alcuni parlamentari preferiscono inseguire il consenso – strizzando l’occhio ai no-vax – piuttosto che difendere con fermezza la tutela della salute come diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività: così facendo, si indebolisce la credibilità della scienza e si alimenta la sfiducia verso le Istituzioni. Ecco perché in Italia, il problema non è l’obbligo vaccinale, ma la narrazione costruita per chiederne che l’abolizione. Una narrazione usata come “piede di porco” per scardinare le evidenze scientifiche e diffondere sfiducia, sospetto e paura verso i vaccini. Il risultato è un inevitabile un calo delle coperture vaccinali, che mette a rischio i soggetti più fragili, la collettività e la sostenibilità del nostro Servizio Sanitario Nazionale».

Perché la soglia di vaccinati deve essere del 95%?
«Per impedire la circolazione di un virus all’interno di una comunità e proteggere anche chi, per motivi clinici, non può vaccinarsi o non sviluppa una risposta immunitaria adeguata: ad esempio malati oncologici, immunodepressi o affetti da patologie autoimmuni. Sotto la soglia del 95%, i virus riprendono a circolare e mettono a rischio proprio i più fragili. È un concetto che va spiegato chiaramente: non si tratta di una soglia “politica”, ma scientifica perché calcolata in base alla contagiosità di ciascun agente infettivo».

Come possiamo spiegare che un dato apparentemente alto come il 92% non è tale?
«Perché può nascondere fragilità importanti. Quando si parla di salute pubblica, anche pochi punti percentuali fanno la differenza: non conta solo quanti si vaccinano, ma quante persone restano esposte al rischio. È proprio lì che i virus trovano terreno fertile per tornare a circolare».

Quali sono i dati più aggiornati della copertura vaccinale? Resta la differenza fra le regioni?
«Secondo i dati del Ministero della Salute aggiornati al 2023, la copertura vaccinale per le vaccinazioni pediatriche nei bambini di 24 mesi è del 94,7% per l’esavalente (difterite, tetano, pertosse, poliomielite, epatite B ed haemophilus influenzae di tipo B), del 94,6% per il vaccino trivalente (morbillo-parotite-rosolia) e del 93,8% per quello contro la varicella. Numeri vicini alla soglia ideale, ma non ovunque: alcune Regioni del Nord e del Centro superano il 95%, mentre in parte del Sud e nelle Isole si scende ancora sotto il 90%. La Provincia autonoma di Bolzano resta fanalino di coda, con coperture inferiori all’86% per tutte le vaccinazioni. Ecco perché la soglia nazionale non basta: serve omogeneità sul territorio».

Perché il caso del morbillo è emblematico?
«Il morbillo è un esempio perfetto di cosa succede quando si abbassa la guardia. Nel 2023 solo 10 Regioni hanno raggiunto la copertura del 95%. Nei primi sei mesi del 2025 sono stati confermati 365 casi: il virus ha colpito nell’87% dei casi persone non vaccinate e nel 10% persone vaccinate solo parzialmente. E non si tratta solo di bambini: oggi circa 1 adulto su 10 di età compresa tra i 20 e i 40 anni è ancora a rischio, anche in Regioni dove le coperture pediatriche sono adeguate. È chiaro che servono campagne mirate anche per gli adulti. I dati parlano chiaro, ma c’è chi preferisce usare il tema dei vaccini per fare battaglie politiche».

Morbillo, i decessi globali tornano a crescere

In numerosi Paesi il tasso di vaccinazione è troppo basso e il numero di casi, da un anno all’altro, è cresciuto del 18% toccando quasi i 9 milioni di infezioni. Anche in Italia servirebbe una copertura ancora più alta, specialmente per la seconda dose che si effettua fra i 4 e i 6 anni

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L’obbligo della legge Lorenzin ha senso legato alla scuola. Ci possono essere altre vie per portare alla vaccinazione?
«Sì, ci sono altre strade, ma non possono sostituire l’obbligo. Una comunicazione efficace, l’educazione sanitaria nelle scuole, una semplificazione organizzativa per l’accesso alle vaccinazioni e il coinvolgimento attivo dei pediatri di famiglia sono strumenti fondamentali per rafforzare un’adesione consapevole. Ma quando le coperture calano in maniera rilevante, l’obbligo legato alla frequenza scolastica rimane una misura indispensabile per proteggere la salute collettiva».