Spese, rimborsi, detrazioni, era tutto fasullo per pagare meno tasse e l’Agenzia delle entrate aveva inviato cartelle esattoriali per 180mila euro. Il contribuente aveva continuato a persistere nella sua versione, rivolgendo alla giustizia tributaria: ora dovrà pagare anche 2mila euro di spese legali e di giustizia.

La Corte di giustizia tributaria di Perugia, ha respinto il ricorso presentato da una società contro l’avviso di accertamento emesso dall’Agenzia delle entrate per l’anno d’imposta 2017 e relativo alla legittimità degli atti impositivi per Ires, Iva e Irap.

La controversia riguardava operazioni ritenute oggettivamente inesistenti dall’Agenzia delle entrate, che aveva contestato alla società la deduzione di costi e la detrazione di Iva su operazioni prive di effettivo sostegno economico. La società, invece, aveva ribadito la genuinità delle transazioni, ma senza produrre prove documentali ritenute idonee a contrastare le presunzioni del Fisco.

In particolare, la Corte ha richiamato una precedente sentenza tributaria che aveva già respinto un analogo ricorso per l’anno 2016, confermando la linea giurisprudenziale consolidata in materia, e citando un’ordinanza della Cassazione secondo cui l’onere della prova grava sul contribuente una volta che l’amministrazione abbia dimostrato – anche per presunzioni – l’inesistenza oggettiva delle operazioni.

La sentenza sottolinea come la sola esibizione di fatture formalmente regolari o la correttezza delle scritture contabili non siano sufficienti a provare la realtà delle operazioni, soprattutto in casi di società “cartiere” o “fantasma”.

La Corte ha, quindi, rigettato integralmente il ricorso, condannando la società al pagamento delle spese processuali.