La fede laica di Selene Caramazza, siciliana, classe 91, interprete viscerale e rigorosa, si sintetizza in un sillogismo non negoziabile: il pubblico cerca verità, l’attrice deve crederci, altrimenti il patto si rompe. Ogni suo personaggio è un’immersione verticale ad alto voltaggio, buca lo schermo, senza strafare: dall’esordio, nei panni di Agnese di Cuori Puri di Roberto De Paolis, che l’ha portata a chiudersi per mesi in una comunità religiosa, tra riti e regole, alla giovane tossica, vittima consenziente di Spaccaossa di Vincenzo Pirrotta, con cui ha esplorato ogni piega della vulnerabilità fisica. Fino a Leonarda, la carabiniera tutta spigoli e voragini di The Bad Guy, serie pirotecnica che ribalta i canoni del mafia drama, in cui Caramazza lascia il segno tra cazzotti, morsi e prove estreme. La sua traiettoria sembra scritta all’inverso: nata nella Palermo piegata dalla violenza delle stragi di Capaci e via D’Amelio, che la famiglia ha lasciato per rifugiarsi a Favara, nell’agrigentino, si ritrova fatalmente a inseguire sullo schermo la stessa scia di sangue e memoria con film come Prima che la notte in cui Daniele Vicari rievoca la storia del giornalista Pippo Fava, ucciso da Cosa Nostra, o miniserie come L’Ora. Inchiostro contro piombo, sulle inchieste scomode della storica redazione palermitana. E dopo The Bad Guy, ritroverà in autunno Vicari per Ammazzare stanca, film in concorso nella sezione Spotlight dell’82esima Biennale Cinema di Venezia sulla vicenda di Antonio Zagari, il primo pentito della mafia calabrese. Riservata, allergica ai riflettori, Caramazza attraversa serialità popolare e cinema d’autore difendendo con tenacia quel territorio interiore da cui scaturiscono tutte le sue metamorfosi. Fino all’ultima, sul set sardo di Dal nulla, thriller di Joe Juanne Piras: «Abbiamo girato in borghi sperduti, poche manciate di abitanti. Venendo dal caos romano, è stato come riconnettermi con me stessa. Sono nata e cresciuta in un paesino dell’entroterra: vivere tra le piccole botteghe, gli anziani in piazzetta e le sagre paesane m’ha riportato all’infanzia».
Selene Caramazza, sarà alla Biennale Cinema di Venezia con Ammazzare stanca, di Daniele Vicari. In estate è stata nelle sale con Arrivederci tristezza, di Giovanni Virgilio.
ESQ Com’è cresciuta da quelle parti?
SC Le maestre stigmatizzavano la mia timidezza e i miei, poveretti, si davano un gran da fare per incoraggiarmi a socializzare, a uscire dalla zona di comfort. Un Natale m’hanno addirittura spedita da sola in aereo dagli zii di Firenze, avrò avuto sei, sette anni.
ESQ Ci arrivò sana e salva?
SC Traumatizzata. Ero introversa, è vero, ma anche curiosa, tanto da sentirmi fuori posto in paese. Divoravo ogni Dvd che mio padre mi procurava in edicola. Da Stanlio e Ollio a Woody Allen al Gattopardo di Visconti. Mi perdevo nelle storie, mi piaceva scrivere. Più che vedermi su un palco, mi immaginavo regista.
ESQ E invece?
SC Accompagnando un’amica a un provino, ho capito che quel gioco di infilarmi nella pelle degli altri mi piaceva. Ma mi vergognavo a confessarlo: per complicarmi la vita, mi sono iscritta a Giurisprudenza; in quell’anno di università è scattato qualcosa, ho preso coraggio e ho annunciato che sarei andata a Roma a studiare recitazione. M’hanno preso per pazza.
ESQ Dopo l’aereo per Firenze, era il minimo.
SC Approdare a Roma dopo 14 ore di pullman fu uno shock: vengo da un’isola in cui il tempo scorre lento e nessuno ha fretta. Roma, per quelli come noi, è veloce, caotica, gigantesca. Persino la metro mette paura. Col tempo, ho fatto pace anche con la timidezza: è diventata un’alleata, un argine a un mondo che chiede troppo. Quando lavoro, mi chiudo a riccio: il set è una piccola famiglia, con cui vivi esperienze quotidiane e intime che non condividi neanche con gli amici di una vita. A casa frequento solo la mia cerchia ristretta e nei weekend scappo nella natura. Ma il mio rifugio resta il cinema: il pomeriggio, quando le sale sono vuote.
ESQ Proprio al cinema è appena approdata con Arrivederci tristezza: si parla di ghosting, della fatica di accettare la fine di un amore.
SC È un film che racconta di uomini che crollano e amicizie che salvano. Mette a nudo l’incapacità di esplorare le emozioni e condividerle, la tentazione di considerare come sconfitte personali le relazioni finite. In un periodo in cui le violenze e i femminicidi non si contano e l’educazione sentimentale nelle scuole latita, storie così ci incoraggiano a interrogarci, a dare un nome ai sentimenti, ma soprattutto a chiedere aiuto.
ESQ La sua educazione sentimentale?
SC Recitare, suppongo: prima non riuscivo a esprimere niente. Sul set, quando entro in un ruolo, posso tirar fuori di tutto. E diventato il mio modo per espormi.
ESQ I suoi ruoli sono spesso fisici, viscerali. Abitano zone di conflitto, di rischio.
SC È li che si trova la carne viva. Le emozioni vere. Mi piace sentire il peso dei personaggi addosso. Il corpo cambia, la mente si sposta. Spesso provengono da mondi ai margini, segnati, duri, sono animati da una strana forma di dignità e rabbia. Mi piace stare lì, tra il dolore e la resistenza.
ESQ Alla carabiniera coriacea e irriducibile di The Bad Guy ci si affeziona
SC È entrata nella mia vita in un momento in cui avevo voglia di mettermi in gioco: dentro cova voragini, fuori si mostra spavalda, entra nelle stanze come una scarica elettrica, si fa largo a spallate nell’Arma, un corpo ancora molto maschile. Ho dovuto ribaltare me stessa per diventare lei. Devo ringraziare i registi Giuseppe Stasi e Giancarlo Fontana per la lungimiranza, per averla scorta in me quando ero un’altra.
ESQ Col suo bel taglio punk, le tempie rasate…
SC La falcata anfibia, il corpo anodino. Mi sono allenata come un soldato per sublimare tutta la spigolosità, il nervosismo del personaggio. Tornavo a casa sfinita ma piena. Leonarda mi ha insegnato a non chiedere il permesso.
ESQ La Sicilia è al centro di molte delle storie che ha contribuito a raccontare.
SC Ho potuto lavorare su progetti di grande impatto. Mi piacerebbe trasmettere il messaggio che, a dispetto degli stereotipi, la mia terra è animata da personalità forti, audaci, che meritano di essere raccontate, viste, omaggiate. Oltre a regalare scenari incredibili, come sanno bene le tante produzioni internazionali che hanno portato li i propri set.
ESQ C’è chi accusa serie e film che raccontano l’Italia attraverso storie criminali di diffondere un’idea fuorviante del territorio.
SC Abbiamo tra le mani strumenti formidabili – l’arte, il cinema, la serialità: ci permettono di rievocare e condividere vicende esemplari, che hanno il potere di scuotere le coscienze e coltivare il dubbio. E una grande responsabilità, a cui non voglio sottrarmi.
CREDITS:
Editor in Chief: Giovanni Audiffredi
Text: Ilaria Solari
Photo: Erica Fava
Styling and Press: Altra Agenzia
Make-up & Hair: Alessandro Joubert
Fashion: Total Look Chanel
Location: Village Studio Roma
Art Direction: Tomo Tomo