In questa prima parte: il ruolo fondamentale del padre, le gomme di Doohan sulla moto di Danilo, il viaggio in California, le gare ad Aosta, la R6 lanciata sulle tribune a Misano e la 250 grippata

2 settembre 2025

Terni – Intervistare Danilo Petrucci, il pilota più amato dagli italiani, è facile: lui parla, è interessante, divertente, simpatico, ti fa riflettere. E ovviamente è un pilota veloce, forte, polivalente.

Dopo aver fatto la prima domanda di questa intervista (qui trascritta, ma trovate anche il VIDEO, appena sotto) mi sono accorto che Danilo aveva impiegato 21 minuti per concludere la prima risposta. Lì ho capito che saremmo andati lunghi. L’intervista completa dura infatti 110 minuti, un’ora e 50, ed è divisa in due parti.

Proviamo a ricostruire tutto, però bisogna che ricominciamo da capo perché dell’inizio io so veramente poco, quindi dove sei nato? Chi sono i tuoi genitori, cosa facevano? Fratelli, sorelle? Vai…

“Allora, io sono sono nato qua a Terni, come vedi Terni non è proprio il centro del mondo del motorismo, per quanto è una delle due città d’Italia, insieme ad Udine, di cui lo stadio di calcio è intitolato a Libero Liberati che è stato campione del mondo della 500 nel ’57, leggenda di Terni, lavorava all’acciaieria e tutti gli operai dell’acciaieria hanno fatto la colletta per comprare la Gilera che con cui poi ha vinto. Poi negli anni ’70 c’è stato Paolo Pileri, insomma una grande tradizione di motociclismo e di motociclisti a Terni, però ecco, non è che c’erano impianti o circuiti qua, c’erano le montagne. Io infatti ho cominciato ad andare con la moto da trial, perché mio papà comunque era un trialista, per quanto gli piacesse anche andar per strada con la moto e mi ha fatto cominciare col fuoristrada, con il mini trial”

Sul padre…

“Mio papà era spaventato. Mio papà era un camionista, l’anno dopo che sono nato io serviva un autista di un camion. Lo chiamò il team Pileri per portare un camion e mio papà, appassionato di moto chiaramente disse “vado”. Da lì un lavoro poi l’anno dopo addirittura assunto, quindi mio papà ha lasciato il vecchio lavoro di camionista ed è andato a fare il camionista nel motomondiale per il team Pileri, anche quello di Terni. Era il team che faceva correre a quel tempo Loris Capirossi e c’era come team manager Giampiero Sacchi, che poi ha cominciato a farmi correre 20 anni dopo. Mio papà era chiaramente appassionato di moto, però vedeva che qua intorno non c’erano piste. L’ambiente delle minimoto in Italia era proprio al boom, non sapevamo da dove cominciare. Mio papà ha detto: “Eh, cominciamo dal trial”… solo che la gara più vicina era ad Aosta, quindi ogni volta 600 km andare, 600 a tornare (ride, ndr), e ci guardavano proprio come per dire “questi qui sono africani”. Però dopo un anno, nel 1999 sono riuscito a vincere il campionato italiano contro Grattarola, contro Matteo, che adesso è il migliore in Italia, allora eravamo io e lui che ce la giocavamo”.

“Ho ‘sta foto di me in California, quando McGrath m’ha messo il braccio… m’ha fatto la foto, proprio mi sono abbassato come per dire: è come Dio che ti dà una pacca sulla spalla e te senti proprio il peso…”

Danilo Petrucci bambino con Jeremy McGrath, in California

Danilo Petrucci bambino con Jeremy McGrath, in California

Cross…

“Poi però tutti e due, anche Matteo, quell’anno lì cominciammo a girare con la moto da cross. Quell’anno io feci feci il trofeo LEM, un trofeo monomarca e riuscii a vincere pure quello. Quindi quell’anno ho vinto sia il trial che il minicross e il premio era andare una settimana in California a vedere il Supercross, a vedere gli allenamenti di McGrath. È proprio una roba… Io ho ‘sta foto di me in California, quando McGrath m’ha messo il braccio… m’ha fatto la foto, proprio mi sono abbassato come per dire è come Dio che ti dà una pacca sulla spalla e te senti proprio il peso…”

In quel momento Danilo ha capito una cosa importante…

“C’ho ‘sta foto qua che ricorda ‘sto momento, è stato lì che ho cominciato a capire un po’ che mi piaceva più la velocità del cross, dopo ho fatto minicross, cadetti junior, senior, fino a quando poi volevo correre nella velocità, volevo correre. Il problema è che, come nelle minimoto, si doveva fare la 125 e io ero grande come adesso, ci volevano tanti soldi, che noi non avevamo. Mio papà mi ha comprato una Suzuki RGV Gamma 250, due tempi, e siamo andati a a Misano che io avevo 13 anni. Adesso lo posso dire, perché ormai il reato è caduto in prescrizione, mio papà mi ha iscritto, ma era lui l’iscritto, poi ho girato io in realtà, con il casco sembravo un adulto”

Però…

“Il sogno dell RGV Gamma due tempi, cioè la mia esperienza col due tempi, è durata un turno perché poi ho grippato!, e mio papà aveva una Yamaha FZR1000 del 1991, quindi eravamo quasi coetanei, che teneva lì in garage, ma non è che la teneva lì in garage, la teneva come credenza, ci appoggiava sopra le robe, le coperte. E aveva sopra le gomme intermedie della Michelin di Doohan, perché lui quando andava alle gare… una volta che te usavi le gomme, quelle delle 500, Doohan, Criville, Barros dopo averle usate le buttavano via, quindi mio papà andava lì e gliele portava via e le metteva sulla sua moto. Cioè, io ho imparato ad andare in moto in pista con le gomme stradure del 500 due tempi di Doohan, Barros, quelle che buttavano e mio papà le usava, le prendeva, le metteva su. E questo di cui ti parlo, era il 2004, io avevo 13 anni… ‘ste gomme erano del 1994”

“Il sogno dell RGV Gamma due tempi, cioè la mia esperienza col due tempi, è durata un turno perché poi ho grippato!”

Eh, la famosa capacità d’adattamento…

“Esatto. Lì, infatti, ho cominciato la mia storia, era il 2004 e ho smesso di far mini cross e ho cominciato la velocità. Nel 2005, l’anno dopo, mi comprò una Yamaha R6. Il primo vero anno di corse fu il 2007 che ho fatto il trofeo R6, incredibile. Al tempo era un po’ come negli anni ’90 la Sport Production, negli anni 2000 c’era la 600 stock, che è uguale. In Coppa Italia c’erano 100 piloti, il trofeo R6 erano 120, quattro categorie e quello però mi aiutò parecchio perché allora a metà dell’anno mi invitarono a fare la wild card nell’Europeo Stock 600 a Misano. Divenni famoso perché fu io che lanciai la moto in tribuna nella prima gara di Misano al contrario, io l’ho inaugurata così, lanciando una moto in tribuna al curvone. Non c’erano ancora le reti, perché era proprio in costruzione la pista, ho testato appieno le misure di sicurezza dell’impianto e mandai ‘sta moto, ‘sta R6… proprio in sesta piena, mi si è chiusa e ha cominciato a ruzzolare, ha rimbalzato ed è andata sulle tribune”

Nuova moto e nuova sfida…

“Il problema è che la settimana dopo c’era il Civ, quindi il trofeo R6. Quindi mio papà ha preso l’assegno, è andato a Empoli, io correvo col team Imperiale di Empoli. C’era una R6 in vetrina e ha detto: “Prendiamo quella”. Quindi l’abbiamo ricomprata. Ci tenevamo l’asso nella manica perché quell’anno lì il trofeo R6 si giocava tutto nell’ultima gara: chi vinceva, vinceva una R6 nuova di pacca”

Su quale pista?

“Mugello. Ma ti dico, c’era la prima fila con Paoloni, io, Zerbo e Bussolotti. Fummo noi quattro che ci giocammo la gara fino alla fine. Con la moto del trofeo credo che giravamo in 1.59 al Mugello, andavamo veramente forte. Io passai Zerbo all’ultimo giro tra la Casanova Savelli e l’Arrabbiata 1, lo passai e uscii dalla Bucine come quando sono uscito con Marc e Dovizioso (nel 2019, ndr), uguale. Solo che Zerbo m’ha fregato e quindi per 64 millesimi… siamo arrivati sulla linea del traguardo, ci siamo guardati, lui era mezzo metro più avanti. E quel mezzo metro è valso un R6. Il povero mio papà, non l’abbiamo ripresa, s’è pagata tutta, però insomma tutto questo mi è servito perché poi negli anni dopo ho fatto l’Europeo, con il Team Italia. Mi ha aiutato molto la federazione in quegli anni a correre. È stato molto bravo mio papà con tutti i suoi amici che conosceva dal mondo dei camion, quindi officine, carrozzieri, meccanici. Mio papà è stato sempre bravo a ritrovare un po’ questi questi soldi, ma ce ne metteva tanti di suo, però è servito tutto. Terni mi ha sempre voluto abbastanza bene sotto questo punto di vista. Sono sempre rimasto legato”

In sostanza è stato difficile per quanto riguarda gli inizi, perché non potevi fare 125-250, hai dovuto prendere un’altra strada, a 17 anni, quando raccontavi di questa gara eri con piloti che erano più grandi di te…

“Bussolotti aveva la la mia età, ma Zerbo aveva il doppio dei miei anni: 35 anni lui, 17 io. La mia bravura è stata sempre quella di arrivare in un campionato e adattarmi quasi subito, cioè essere stato da sempre subito veloce. Quando arrivavo in MotoGP o quando sono stato in Superbike sono riuscito molto velocemente ad arrivare al limite, magari al 98%, dopo quel 2% magari ci ho messo di più a lavorare, perché faccio molto di istinto, di talento. Io praticamente fino al 2006-2007, ma anche 2008-2009 correvo con moto stock. Se vado a vedere i miei rivali correvano già con le moto da corsa, da GP. Sono arrivato nel 2012 in MotoGP e quando mi dicevano cambiamo l’offset davanti dicevo ‘ma chissà che m’avrà detto'”.

 fine prima parte –