Lei non sa chi sono io. Così, pressappoco, Francesca Albanese ha scritto al presidente del Consiglio Nazionale Forense, colpevole di non averla consultata prima di cambiare titolo e panel dell’evento “formativo” su “Le violazioni dei diritti umani a Gaza e nei territori occupati”, il convegno programmato per il prossimo 4 settembre in cui la relatrice dell’Onu avrebbe dovuto figurare come monologante guest star.

A un po’ di avvocati e a un certo numero di associazioni forensi non andava giù che l’organismo istituzionale dell’Avvocatura si prestasse a tribuna Sanremo-Style, con la “special rapporteur” (quella della lobby giudaica che ha soggiogato gli Stati Uniti) al posto di Ghali a concionare di genocidio e apartheid. E così hanno protestato, inducendo il CNF a limare un pochetto quel titolo da corteo in kefiah e a prevedere che, quanto meno, tra i relatori fosse inserito qualche nome capace di dare un’apparenza di equilibrio a quel convegno tanto sbilenco.

Ma lei si è indispettita. E allora, per quanto in un italiano claudicante, l’ha messa giù chiara: “Apprendo con sorpresa, e da fonti terze, che il programma dell’evento del 4 settembre – al quale ero stata invitata dal Consiglio Nazionale Forense – sia stato diffuso con modifiche mai concordate…”. Evidentemente il CNF, responsabile di quell’inopinato sfregio, ignorava che Francesca Albanese non è soltanto “Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla situazione dei diritti umani nel territorio palestinese occupato da Israele dal 1967” (ciò che evidentemente le assegna il diritto intangibile alla claque, o almeno alla platea muta), ma è pure la “Prima donna a ricoprire questo incarico in oltre trent’anni”. C’è caso, quindi, che l’arbitrario cambio di scaletta non fosse semplicemente in violazione del diritto acquisito al comizio di Francesca Albanese, ma anche in contravvenzione un po’ machista dei diritti di genere.

L’attivista dell’Onu è poi inviperita perché il CNF ha destituito di crediti formativi quel convegno. Trova “ingiustificabile” che sia precluso agli avvocati di incassare crediti di formazione professionale partecipando a un evento in cui lei – che ha falsamente menato vanto di svolgere la professione forense – li indottrina “sulle violazioni del diritto internazionale commesse da Israele in quanto potenza occupante”. È abbastanza imperdonabile, in effetti. Non disperino, tuttavia, gli avvocati ingiustamente deprivati della tacca pro-Pal sul curriculum formativo. Possono fare l’autocertificazione: nel Paese del Festival del Cinema Judenfrei e delle flottiglie anti-genocidio, di sicuro gliela tengono buona anche in tribunale.

Iuri Maria Prado