Quello della ceca è l’ultimo di tanti casi preoccupanti. Da Seles fino alle minacce a Boulter, un fenomeno che sta privando le giocatrici della serenità
Pellegrino Dell’Anno
3 settembre 2025 (modifica alle 11:32) – MILANO
“Ho visto il mio ex fidanzato seduto davanti a me, ho avuto paura. Tende a presentarsi in luoghi dove non dovrebbe essere”. Parole di Karolina Muchova dopo la vittoria contro Cirstea al secondo turno. La ceca, per arrivare ai quarti di finale contro Osaka, ha dovuto sopportare non solo i classici ostacoli di campo. Ma anche un problema che è purtroppo sempre più frequente nello sport, soprattutto nel tennis femminile: lo stalking. Appare infatti chiaro dalla reazione di Muchova (“gli ho chiesto di andarsene, non lo ha fatto subito ma poi ha lasciato il posto”) che i trascorsi con l’ex fidanzato siano tutt’altro che idilliaci. La ceca ne è rimasta profondamente scossa, sfiorando le lacrime. Naturalmente, senza adeguate segnalazioni o evidenze, la security e l’organizzazione del torneo non possono prendere chissà che provvedimenti. Sta di fatto però che la piaga stalking si fa sempre più virulenta, e per il bene dello sport e delle giocatrici va estirpata il prima possibile.
il caso raducanu—
Recentemente il caso più eclatante ha coinvolto Emma Raducanu a Dubai, lo scorso febbraio. In quel caso la giovane tennista britannica, tra l’altro proprio contro Muchova, si era fermata durante il gioco chiedendo espressamente al giudice di sedia di allontanare dagli spalti un individuo dimostratosi molesto nei suoi confronti. “Non vedevo la pallina per via delle lacrime, non riuscivo a respirare”, confessò Raducanu che, pur di uscire dal campo visuale del soggetto denunciato, si era nascosta dietro il seggiolone dell’arbitro. Reazione dovuta a una triste pregressa conoscenza da parte di Emma del soggetto in questione, che il giorno precedente al match (dopo averlo fatto anche in varie altre situazioni) aveva avvicinato la britannica sotto il suo albergo con una lettera, cercando una foto. Dopo il fatto di Dubai, l’uomo è stato punito con un ordine restrittivo e il divieto di accesso a qualsiasi evento WTA.
un problema più ampio—
Quello di Raducanu è stato un caso di punizione esemplare, “aiutato” dall’evidenza di essere accaduto in campo e con una reazione molto forte della vittima. Ma è solo la punta di un iceberg tortuoso, sul quale le istituzioni hanno difficoltà ad arrampicarsi. Ci sono storie come quella di Danielle Collins, che più volte ha denunciato di un individuo che chiamava addirittura la sua famiglia e i suoi amici quando erano a lavoro. O Yulia Putintseva, lamentatasi sin da subito nel suo primo turno di Wimbledon contro Anisimova e chiedendo che uno spettatore “pericoloso” venisse cacciato. Ma non bastava la sua parola, e finì anche per perdere 6-0 6-0. Ma la storia più grave coinvolge Katie Boulter. Sul finire del Roland Garros, la britannica aveva rivelato di essere a volte seguita in automobile e frequentemente minacciata sui social, specie quando de Minaur perde. Minacce di morte, auguri per le peggiori sventure, rabbia repressa. E il fenomeno ha radici profonde.
la tragedia di seles—
Il punto peggiore dello stalking nel tennis femminile, della persecuzione da parte di individui non mentalmente stabili, si ebbe ad Amburgo il 30 aprile 1993. In quel maledetto e tristemente famoso giorno la pericolosità di Gunther Parche, folle adepto di Steffi Graf, divenne una realtà. Tentò di accoltellare Monica Seles nel tentativo di rendere il circuito terra di conquista per la tedesca. Fortunatamente la colpì solo di striscio alla schiena, ma il danno psicologico fu quasi irreparabile. Da quel giorno la sicurezza è aumentata in maniera esponenziale sui campi da tennis, ma in un’epoca dominata dai social media, in cui tutti sono connessi e si ha la possibilità di sapere qualsiasi dettaglio della vita delle stelle compresi luoghi e orari di allenamento, un reale controllo diventa difficile.
dibattito ampio, soluzioni da trovare—
Anche le sorelle Williams, Sharapova, Kournikova, più recentemente Gauff, hanno denunciato di aver avuto problemi con soggetti apparentemente pericolosi. Chiaramente più si è sotto le luci dei riflettori, più si è esposte. Ma il discorso è che la possibilità di intervento non è così ampia. Finché gli individui in questione non vengono identificati, sarebbe impossibile non farli entrare ai tornei. E, al contempo, senza prove concrete (e non sempre bastano le lamentele) non è così semplice cacciarli dagli spalti. Dunque le giocatrici sono costrette a volte “a farsi giustizia da sole”: in alcuni tornei Sabalenka ha espressamente richiesto più guardie del corpo, e sia Collins che Raducanu hanno fatto emanare ordini restrittivi. Quanto successo a Muchova, che ha avuto la prontezza di spirito di rimanere in partita e di spingersi ai quarti di finale, è un ennesimo campanello d’allarme. Nella questione specifica ci sono trascorsi personali alle spalle con una persona con la quale condivideva una relazione, i quali la giocatrice ha preferito non approfondire, che ovviamente hanno intensificato la reazione dal punto di vista emotivo. Ma, a prescindere da ciò, la questione stalking e contromisure è sempre più urgente, e va affrontata come priorità.
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