In Italia, solo 13 Regioni garantiscono ai loro cittadini gli standard essenziali di cura. Il divario territoriale è molto forte. Al Sud sono solo tre: Puglia, Campania e Sardegna. I dati, riferiti al 2023, sono stati diffusi dal ministero della Salute e valutano l’erogazione dei Livelli essenziali di assistenza (Lea), ovvero le prestazioni sanitarie che Regioni e Province autonome devono garantire gratuitamente o attraverso il pagamento del ticket. Una sorta di pagella ufficiale, realizzata dal ministero per valutare i servizi sanitari regionali. Ma la già non rosea situazione descritta dal monitoraggio potrebbe essere fin troppo ottimistica. Secondo la Fondazione Gimbe, infatti, il sistema di monitoraggio ministeriale è uno strumento basato su pochi indicatori e soglie di sufficienza troppo basse, che appiattiscono le reali differenze tra le regioni.

Dopo che il 6 agosto il ministero ha pubblicato la “Relazione 2023 del monitoraggio dei Lea”, Gimbe ha condotto un’analisi indipendente per misurare le differenze regionali nel garantire i diritti fondamentali di salute, con particolare attenzione alla frattura Nord-Sud e alla variazione della performance tra il 2022 e il 2023. Lo strumento utilizzato per la valutazione prevede tre macro aree di giudizio: prevenzione collettiva e sanità pubblica; assistenza distrettuale; assistenza ospedaliera. Ogni Regione, per ciascuna delle tre aree, può ottenere da 0 a 100 punti. Per essere considerata adempiente deve raggiungere il punteggio di almeno 60 punti in tutte le aree. Considerato che il ministero non restituisce un punteggio unico per la valutazione complessiva degli adempimenti Lea, Gimbe ha elaborato una classifica sommando i punteggi ottenuti nelle tre aree.

“Rispetto alla semplice distinzione tra Regioni adempienti e inadempienti – commenta il presidente della Fondazione, Nino Cartabellotta – il punteggio totale evidenzia in maniera più netta il divario tra Nord e Sud”. Tra le prime dieci Regioni, infatti, sei sono del Nord, tre del Centro e solo una è del Sud. Al contrario, nelle ultime sette posizioni, fatta eccezione per la Valle d’Aosta, si trovano esclusivamente Regioni del Mezzogiorno.

Nel 2023 solo 13 Regioni risultano adempienti, un numero identico a quello del 2022: Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Lombardia, Marche, Provincia Autonoma di Trento, Piemonte, Puglia, Sardegna, Toscana, Umbria e Veneto. In particolare, dal 2022 al 2023 Campania e Sardegna salgono tra le Regioni adempienti, mentre Basilicata e Liguria retrocedono a inadempienti per il mancato raggiungimento della soglia minima in un’area. Rimangono inadempienti per insufficienza in una sola area Calabria, Molise e Provincia Autonoma di Bolzano, mentre Abruzzo, Sicilia e Valle d’Aosta non raggiungono la soglia in due aree.

“È evidente la frattura all’interno della Penisola – commenta Cartabellotta -. Su 13 Regioni promosse, solo tre appartengono al Mezzogiorno. La Puglia ha registrato punteggi simili a quelli di alcune Regioni del Nord, mentre Campania e Sardegna si collocano poco al di sopra della sufficienza”. Al di là dei criteri che stabiliscono se una Regione sia adempiente o meno, i punteggi ottenuti nelle singole aree restituiscono classifiche differenti, utili a individuare punti di forza e criticità dei sistemi sanitari regionali. Alcune Regioni sono piuttosto equilibrate: Campania, Emilia-Romagna, Toscana, Piemonte, Veneto e Umbria, indipendentemente dal livello delle loro performance, hanno punteggi simili nelle tre aree. Altre, invece, mostrano forti squilibri. In particolare Calabria, Valle D’Aosta, Liguria e Provincia autonoma di Bolzano. “Queste differenze – spiega il presidente – indicano che, anche dove si raggiunge la soglia di sufficienza, persistono marcati squilibri nella qualità dell’assistenza. Ma una sanità che funziona bene solo in ospedale o solo sul territorio non può considerarsi realmente efficace, né tantomeno in grado di rispondere ai bisogni delle persone”.

Per quanto riguarda le differenze tra il 2022 e 2023, otto Regioni hanno registrato un peggioramento, seppure con gap molto variabile: a perdere almeno dieci punti sono Lazio (-10), Sicilia (-11), Lombardia (-14) e Basilicata (-19). Ed è proprio il crollo della Lombardia a dimostrare come, anche nelle amministrazioni storicamente efficienti sul piano sanitario, la situazione stia peggiorando rapidamente. Elemento attorno al quale si sono scatenate le accuse politiche delle opposizioni al governo di centrodestra. “Una volta la nostra Regione ambiva a competere con le aree più produttive, innovative e maggiormente avanzate a livello di welfare in Europa. Oggi solo la performance negativa della Basilicata evita che la Lombardia, dati alla mano, sia la peggior regione d’Italia“, commenta il capogruppo del Movimento 5 stelle Lombardia, Nicola Di Marco.

L’attacco alla giunta di Attilio Fontana arriva anche dai dem. Per Silvia Roggiani, deputata e segretaria regionale del Pd della Lombardia, “il calo di 14 punti nei Lea in un solo anno è un risultato allarmante che non può essere mascherato da slogan propagandistici”. “È la conferma – prosegue – che il modello lombardo promosso da Fontana e Bertolaso, basato su uno sbilanciamento a favore della sanità privata, senza un pari investimento nella sanità pubblica e territoriale, sta collassando sulla pelle delle cittadine e dei cittadini”. Dello stesso tenore le dichiarazioni di Pierfrancesco Majorino, capogruppo Pd nel Consiglio regionale lombardo: “Bisogna ricostruire la sanità territoriale e bisogna reinvestire sulla sanità pubblica, riducendo i tempi di attesa che sono un insostenibile ricatto per i cittadini, costretti a farsi visitare e curare a pagamento. Questo – precisa – è un monito anche per la destra al governo: il modello lombardo è sbagliato e andare nella direzione della privatizzazione spinta è folle”.

“La riduzione delle performance anche in Regioni storicamente solide – prosegue ancora Cartabellotta – dimostra che la tenuta del Ssn non è più garantita nemmeno nei territori con maggiore disponibilità di risorse o reputazione sanitaria. È un campanello d’allarme che non può essere ignorato”. Sul fronte opposto, due Regioni del Sud mostrano un netto miglioramento: Calabria (+41) e Sardegna (+26). Dal monitoraggio Gimbe emerge che la possibilità di accedere a cure adeguate dipende in larga misura dall’indirizzo di residenza. Motivo per cui Cartabellotta invoca una “radicale revisione dei piani di rientro e dei commissariamenti: “Questi strumenti hanno indubbiamente contribuito a riequilibrare i bilanci regionali, ma hanno inciso poco sulla qualità dell’assistenza e sulla riduzione dei divari tra Nord e Sud del Paese”, conclude.