Roma, 4 settembre – Il dato è noto, ma ricordarlo è sempre opportuno, perché va tenuto nel debito conto quando si ragiona sul welfare e – in particolare – sull’assistenza sanitaria nel nostro Paese: secondo l’Istat, si stima che in Italia vi siano oltre 7 milioni di caregiver familiari. Persone che offrono un contributo a dir poco straordinario per il benessere delle persone assistite e davvero impagabile per l’intero sistema sanitario, che – senza di loro – sarebbe già saltato da tempo.

Persone di cui, però, si parla poco, o comunque molto meno di quanto meriterebbero, anche perché la loro opera, il loro impegno quotidiano e la responsabilità costante di cui si fanno carico molto spesso in solitudine,  resi gratuitamente, possono diventare fonte di stress e disagio ed essere pagati a caro prezzo in termini di salute.

Ad accendere meritoriamente un riflettore sul problema è il sito anti-bufale Dottore ma è vero che…? della Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri  che dedica appunto un approfondimento dedicato al burnout dei caregiver, ovvero lo stato di esaurimento fisico, emotivo e mentale che insorge quando ci si sente sopraffatti e incapaci di far fronte alle richieste.

Nei familiari che assistono i propri cari non autosufficienti, disabili o con una malattia cronica, questa condizione può manifestarsi dopo mesi o anni di assistenza continua, specialmente se non si ha la possibilità di prendersi delle pause.

Nella maggior parte dei casi si tratta di figli o coniugi che si occupano quotidianamente di un parente, spesso per lunghi periodi e senza un compenso economico.

La sindrome da burnout comprende: stanchezza cronica; disturbi del sonno; ansia; irritabilità; senso di colpa; isolamento sociale; nei casi più gravi, depressione. I soggetti più esposti a rischio sono quelli che si identificano completamente con il ruolo di assistenza, trascurando la propria vita personale e sociale. In particolare, le donne oltre i 60 anni – precisano gli esperti Fnomceo – che assistono a tempo pieno il coniuge in fase avanzata di malattia rappresentano la categoria più vulnerabile. Spesso non ricevono supporti esterni, hanno problemi di salute e vivono situazioni familiari complesse.

Anche le figlie con molte responsabilità, che non convivono con il malato ma se ne occupano regolarmente, possono sperimentare un forte stress.

Come si può prevenire il burnout?  In primo luogo, rispondono gli esperti della federazione dei medici, è importante riconoscere i propri limiti e non trascurare il proprio benessere. Parlare con una persona fidata aiuta sicuramente a condividere lo stress ma in caso di sintomi molto impattanti è importante rivolgersi a uno specialista.

In generale, non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto: suddividere i compiti e stabilire una routine sostenibile rende più gestibile l’impegno. È utile informarsi sulla malattia del proprio caro per affrontare meglio le difficoltà e accettare che, a volte, potrebbe servire un supporto esterno. Infine, concludono gli esperti di Fnomceo, “non dimenticare di prendersi del tempo per sé stessi, alimentarsi bene e riconoscere anche i sentimenti negativi, senza colpevolizzarsi”.