Che incontro fatale, e atteso, quello tra una delle interpreti oggi più acclamate e premiate, Valeria Bruni Tedeschi, e l’attrice considerata l’icona più grande, Eleonora Duse, vissuta tra il 1858 e il 1924, dea del teatro, immortalata al cinema in un solo film, Cenere, del 1916, e riportata oggi all’attenzione di tutti grazie al documentario di Sonia Bergamasco, Duse: The Greatest.

A Venezia, Bruni Tedeschi è la protagonista del film di Pietro Marcello, Duse, prodotto da Palomar e Avventurosa, in concorso al Lido (e in sala dal 18 settembre distribuito da PiperFilm), opera dove sfavilla la contaminazione tra finzione e documenti d’epoca in una simbiosi cinematografica che porta la materia della Storia tra noi, nel tessuto stesso della pellicola.

Un film che «non è un biopic», ha dichiarato Valeria, «ma una visione immaginativa, un incontro tra me ed Eleonora, un dialogo intimo che prescinde dalla precisione filologica, anche perché non le assomiglio».

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GIANMARCO CHIEREGATO

Duse narra gli anni dell’appannarsi del successo, il declinare dell’età e della salute, l’esaurirsi della storia passionale con Gabriele D’Annunzio, interpretato da Fausto Russo Alesi.

Un’epoca di problemi e rovesci economici per l’attrice che, sempre ribelle, simbolo di resilienza per i soldati al fronte nella Prima Guerra Mondiale, si muove attraverso il suo tempo e il nuovo che avanza, trasformando l’Italia.

I filmati d’archivio, resi contemporanei dalla contaminazione con il cinema, ci raccontano lo strappo della guerra, i lutti delle madri, il lungo viaggio della salma del milite ignoto dalle Alpi a Roma, l’ascesa di Mussolini.

Al fianco di Valeria Bruni Tedeschi, Noémie Merlant nel ruolo della figlia Enrichetta, e la fedelissima Désirée, l’amica assistente di sempre, interpretata da Fanni Wrochna.

Dopo la magnifica interpretazione de L’arte della gioia, ricca di sottigliezze e slanci interpretativi, Bruni Tedeschi torna dunque in un ruolo femminile complesso e ne difende fieramente la memoria e la modernità.

Per prepararsi ha studiato le centinaia di lettere lasciate da Duse e le tante biografie che il regista le ha affidato per giungere a «una riflessione sulla solitudine, sentimento che mi commuove. E Duse era davvero sola negli ultimi anni della sua vita».

C’è da aspettarsi ancora una grande interpretazione, piena di fremiti, risate e terrori, come tutte quelle che hanno reso straordinaria la carriera di questa attrice italiana cresciuta in Francia, capace di vivere da artista completa e indomita tra due mondi e culture, emotiva e terrena, cesellatrice di parole, sentimenti, follia, emozioni.

L’interpretazione nel film di Pietro Marcello è forse la sua sfida più grande, da togliere il fiato, perché Duse era l’interprete che sapeva morire in scena semplicemente lasciando vibrare le dita di una mano, un gesto quasi impalpabile eppure potente, come ricordano testimoni e biografi. Confronto e sfida da non perdere, una lezione di recitazione incrociata e all’ultimo sospiro.

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