Abbiamo tutti un parente molto giudicante. Proprio quello che parla per stereotipi, sempre pronto a puntare il dito contro il progresso (sia sociale che tecnologico), nostalgico della sua gioventù mitizzata e che ci rovina il Natale con le sue opinioni non richieste e le domande imbarazzanti. E se questo personaggio che ogni famiglia deve sopportare, con la sua rigida idea di tradizione, si incontrasse con l’Intelligenza Artificiale, che succederebbe?
Così è nata Zia Rosa la Bigotta, una video-installazione in cui l’AI diventa corpo, voce e occhi, pronta a farci sentire un vero fallimento con le sue frasi tranchant.
Da un’idea dell’artista napoletana Roxy in the Box, il direttore creativo e regista irpino Luca Grafner e il suo team hanno dato vita ad un’opera che prende forma e si manifesta in maniera disturbante, ironica e senza tempo. Con Oscar Grafner a curare la character image ed Ermanno Bonazzi al prompt design, Zia Rosa è stata protagonista al festival Seminaria Sogninterra, che si è tenuto a fine agosto in provincia di Latina: affacciata ad un basso del paese, ha fulminato con il suo sguardo severo gli avventori del festival e indirizzato i suoi giudizi a chiunque si avvicinasse alla finestra. Il tutto, impreziosito dalla voce straordinaria di Cristina Donadio, che ha reso gli strali di Zia Rosa ancora più incisivi.
«Come tutte le cose, spesso le più belle e genuine partono probabilmente per caso. Con Roxy c’è un rapporto da tempo, di stima reciproca per il lavoro e di amicizia – racconta Luca Grafner – Mi ha proposto di lavorare a questa installazione per il festival e ne sono stato subito incuriosito. Negli ultimi anni l’AI ci ha investito in pieno e, come tutte le cose che arrivano, o impari a navigarle e a gestirle, oppure affoghi. Come studio avevamo già iniziato a capire come inserirla nei nostri lavori pubblicitari, a come farla diventare un valore aggiunto e non un ostacolo. Quindi applicarla nel campo artistico, con una persona che stimo e ammiro come Roxy, mi sembrava assolutamente una sfida bellissima da affrontare».
Il primo step è stato capire come Roxy immaginasse il personaggio: «Lei vola sempre molto in alto con l’immaginazione, e io provavo a riportare a terra quelle idee per creare qualcosa di concreto. È stato strano: per la prima volta non aveva un pennello in mano ma, come mezzo per arrivare al risultato che aveva in mente, solo le chiacchiere con me. Abbiamo ragionato su come poter ricreare questo personaggio: da dove partire, come dargli corpo. Poi ho coinvolto gli altri dei Grafner Studios, perché dovevamo iniziare a costruire Zia Rosa. Non aveva una faccia, né una voce. Niente. Così abbiamo iniziato a “promptare” un po’ a caso, proponendo a Roxy diverse soluzioni. Lei si divertiva a immaginare insieme a noi il risultato finale. Abbiamo fatto vari test ed esperimenti, finché non siamo arrivati a un volto corrucciato, vestito un po’ come la regina Elisabetta. Appena l’ha visto ha detto: “È lei! La riconosco!”».
Poi Cristina Donadio, la “Scianel” di Gomorra, si è unita al progetto, «così quello che era partito come un gioco si è trasformato in qualcosa di più grande. Cristina ha registrato 30-40 frasi che volevamo far pronunciare a Zia Rosa. Su quelle abbiamo costruito il lavoro di lip sync: sincronizzare la voce con i movimenti del personaggio. Dopo vari esperimenti e tecniche siamo riusciti a ottenere un effetto coerente e realistico. Ma non era il nostro obiettivo sembrare del tutto reali. Roxy voleva che il risultato fosse qualcosa di distopico, che creasse dubbio nello spettatore: “È vera o non è vera? Sta parlando con me o no?”. E ci siamo riusciti. Alcune frasi funzionano perfettamente, altre lasciano percepire qualcosa di strano».
Così l’esperimento si è trasformato in esperienza, e il virtuale in presenza reale: «Sapevamo che l’installazione sarebbe stata collocata in un basso del borgo. L’idea di renderla fisica e presente nello spazio ci allettava. Abbiamo creato un loop video in cui Zia Rosa parlava, poi si guardava intorno, con glitch di editing che catturavano l’attenzione dei passanti. Ogni dieci minuti sparava frasi randomiche: a volte calzavano, a volte no, e questo era il bello. Poi abbiamo fatto la retroproiezione dentro il basso, alle dimensioni reali. La sera, con la gente che passeggiava, l’effetto era incredibile: si sentiva la voce, ci si girava, e improvvisamente lei era lì, affacciata. L’effetto era quello che volevamo: la gente restava bloccata per un attimo, chiedendosi “ma che cos’è?”. Molti ci hanno scritto per capire come tutto fosse stato realizzato, se fosse una persona “vera” o no. Il fatto stesso che il pubblico volesse scoprire il processo creativo per me è già un grande risultato».
«Questo progetto nasce all’interno di un altro lavoro, il Pessoa Luna Park, creato da due ragazze campane, Azzurra Galeota e Maria Grazia Spogna Miglio – aggiunge Roxy in The Box, nome d’arte di Rosaria Bosso – Un progetto di rigenerazione urbana e umana: un parco giochi itinerante, dove però i giochi non sono altro che strumenti per farti riflettere. Avevo creato per loro la “Bigotteria”: un baraccone dove si giocava e si potevano vincere delle mie opere. C’erano delle frasi esposte e il gioco consisteva nel centrare con una ciambella un dito medio alzato. Zia Rosa è, quindi, uno spin-off. Perché mi interessa questo tema? Perché trovo che ancora oggi ci sia molta “bigotteria” in giro. Esistono ancora moralismi e atteggiamenti di chiusura di persone che continuano a giudicarci. In un’epoca in cui dovremmo essere tutti molto più evoluti, a mio parere c’è ancora troppa gente che giudica senza sapere, gratuitamente. Come accade sui social. Anzi, questa divisione tra IA e realtà non esiste: dietro ci siamo sempre noi, e quante zia Rosa “vere” conosciamo? Ne abbiamo almeno una a testa in famiglia».
Zia Rosa continuerà il suo viaggio nelle iniziative del Pessoa Luna Park, ed è stata il frutto, quindi, di una ricerca che apre nuove possibilità espressive e nuovi linguaggi: «Io affronto l’IA come ogni novità che arriva: con curiosità – riprende Grafner – Credo sia il fulcro di tutto, soprattutto nelle professioni creative. La curiosità ti porta a studiare, a conoscere il nuovo linguaggio. Solo con la conoscenza si possono superare i pregiudizi, ed è così che ci siamo resi conto che l’AI non è altro che uno strumento: potentissimo, inevitabile, destinato a entrare ovunque. Nel nostro settore è già diffuso, ma tra pochi anni sarà davvero alla portata di tutti. Già oggi mi ritrovo a gestire spot pubblicitari interamente generati in AI. Quello che fino a un anno fa richiedeva troupe, set, montaggi, oggi lo affronto con un team tecnico dedicato, facendo da collante e direttore d’orchestra, che è poi il ruolo del regista. È una sfida che affronto con entusiasmo più che con paura. Anzi, forse il segreto è proprio questo: accogliere il cambiamento con positività. Se fosse tutto semplice e quotidiano, ci annoieremmo subito; invece le novità e le sfide sono il motore».
Per il giovane creativo, «chi resta fermo o giudica a priori, alla fine rischia di essere travolto da un mondo che va avanti. È già successo: 15-20 anni fa le reflex digitali sembravano destinate a distruggere cinema e televisione. Oggi l’80% dei set digitali si fanno con quelle. È l’evoluzione, e bisogna decidere se subirla o cavalcarla. Per questo abbiamo studiato, fatto corsi, investito (anche economicamente, perché costa) e oggi siamo tra i primi a gestire progetti interamente creati in AI, senza smettere di portare avanti anche sperimentazioni artistiche come Zia Rosa. L’AI ci sostituirà? Dipende da quanto valore aggiunto sapremo dare. Nel mio campo, quello della regia, penso e spero che l’idea di direzione creativa resterà imprescindibile. Anche se non si girano più fisicamente certe immagini, ci sarà sempre bisogno di qualcuno che sappia dare coerenza dall’inizio alla fine a un film, a uno spot, a un progetto visivo. I ruoli non spariranno: cambieranno, si trasformeranno, richiederanno nuove competenze. Già oggi non esiste più il regista che arriva sul set e si limita a dire “buona” o “cattiva”. È un mestiere che evolve, e bisogna aggiornarsi se non si vuole restare indietro».