Ci sono quelli che vanno via da Napoli, e lui li ha raccontati nel 2017 con un primo documentario, «Napolitaners». E poi ci sono quelli che a Napoli vengono a vivere, anche se non sono nati qua: a questi ultimi Gianluca Vitiello, speaker di Radio Deejay, dedica «Noi non siamo napoletani», che esce nelle sale il 13 settembre con première a Napoli, a Casa Cinema, alle 19 alla presenza dell’autore.
APPROFONDIMENTI
Prodotto da Dna Lab, è un racconto di 70 minuti, la colonna sonora originale è di Simone Paleari che canta l’inedito “Doce ‘e sale” insieme allo stesso Vitiello; nel film anche il brano “L’Unica” di Gabriele Esposito. Si parla dunque di statunitensi e giapponesi, russi e palestinesi, nigeriani e tedeschi, serbi e francesi che un giorno hanno deciso che avrebbero passato la loro vita sotto il Vesuvio. Sono in tutto 18 e hanno coronato il loro desiderio, affermandosi col loro lavoro – diventando artisti o imprenditori, pizzaioli o addirittura religiosi (un imam musulmano) – qui, tra Quartieri spagnoli e piazza Plebiscito, nel centro storico che si stava gentrificando e che oggi è invaso dal turismo o nei quartieri residenziali.
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Tra questi anche la testimonianza dell’artista statunitense Jimmie Durham, Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia, scomparso nel 2021, che ha vissuto gli ultimi anni in città e che si è sentito a casa «perché folle e piena di problemi», ammette con ironia nel filmato. Ma quello che una volta era il fascino dell’esotico, dell’eterno Grand Tour che si consuma sul golfo, oggi si trasforma in altro. «Ora si può venire a Napoli perché è una città che offre opportunità – spiega Vitiello – Molto diversa da quella che ho lasciato 20 anni fa».
L’idea
L’idea di un film su chi sceglie Napoli gli è venuta alla fine della lavorazione del primo documentario, su chi la stava abbandonando: «Sembra che il secondo lavoro sia una risposta al primo, in realtà non è così. Mentre concludevo “Napolitaners” iniziavo a sentire notizie su un fenomeno contrario a quello che stavo raccontando, ovvero che diverse persone, di estrazione ed età varia, stavano decidendo di trasferirsi qui. E non più per starci un piccolo periodo, da visitatori occasionali, come posto di passaggio per altro, magari per le costiere o le isole: no, c’era qualcosa che gli aveva fatto scegliere Napoli come residenza definitiva, meta di vita».
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Il fascino per Napoli può nascere per vari motivi: quelli che hanno spinto Benjamin a salire su un barcone, compiere una traversata e passare dall’Africa all’Europa fermandosi da queste parti, oppure chi ha scelto la città porosa perché attratti dalla sua immanenza millenaria; o per altro, che non trova spiegazioni precise se non nel suo fascino magnetico. Vitiello fa un esempio concreto: «Nel documentario si racconta di un giovane francese, nato a Marsiglia, che da quando è piccolo sogna di stare a Napoli. Riempie la cameretta di immagini e fotografie della città che fa stampare appositamente, poi da giovane fa il suo primo viaggio qui con la fidanzata e decide che sarebbe stata la sua nuova patria». E come lavoro? «Sceglie di fare una cosa napoletanissima, ovvero il pizzaiolo: e nel tempo si è consolidato, è ancora sicuro della sua scelta e felice di stare qua».
Il titolo
Il titolo lo ha preso da uno dei tanti cori beceri da stadio che alla squadra azzurra dedicano le tifoserie rivali: «In parte mi serviva per esorcizzare l’insulto, e a chi fa questi cori risponderei come fa qualcuno, con un “Te piacesse, eh?”. Per Vitiello l’invito, specialmente rivolto ai giovani, di restare o tornare a Napoli «è la grande sfida per il futuro della città: da un lato si tratta di non far partire i suoi figli migliori, e ce ne sono tanti. Ma l’appello contiene anche un altro aspetto: ogni volta che andiamo via esportiamo la napoletanità ma ci portiamo via un pezzo della città, un frammento che fatalmente che viene meno. In questo momento invece Napoli attira persone, il racconto è cambiato, il cinema, la musica e la cultura hanno creato un nuovo immaginario, poi eventi come la Coppa America di vela possono produrre altri fattori di attrazione: è il momento di accogliere chi ha voglia di investire su Napoli, a patto che il turismo e le nuove forze non ne snaturino l’identità. Che è la nostra carta vincente da sempre».