di
Stefano Montefiori

Macron: pronti per la sicurezza. Da Trump vaga garanzia di intervento in caso d’attacco

DAL NOSTRO CORRISPONDENTE 
PARIGI «Ventisei Paesi hanno concordato di fornire garanzie di sicurezza all’Ucraina. Credo che quello di oggi sia un primo passo concreto di grande importanza», dice Volodymyr Zelensky nella conferenza stampa finale della riunione dei Volenterosi, prima di abbracciare Emmanuel Macron.

«Pronti per la pace e per la nostra sicurezza», è il titolo del vertice che si è tenuto ieri all’Eliseo, e rispetto alle riunioni precedenti della «coalizione dei volenterosi», cominciate il 17 febbraio scorso sempre a Parigi, Macron ha sottolineato la novità di ieri: «Siamo pronti», ovvero i capi di stato maggiore e i ministri della Difesa hanno messo a punto i piani di intervento per garantire la sicurezza dell’Ucraina, una volta che si dovesse raggiungere «il cessate il fuoco», oppure «l’accordo di pace» definitivo che comprenda anche il cessate il fuoco o l’armistizio, secondo la formulazione preferita dal presidente americano Donald Trump. Come ha spiegato Macron, possiamo usare i termini che vogliamo, ma il punto è che «il giorno stesso in cui i combattimenti dovessero cessare, noi siamo pronti a intervenire».



















































Le parole di Macron hanno lasciato spazio a qualche incomprensione per alcuni minuti, perché il presidente francese ha parlato di 26 Paesi — sui 35 della coalizione dei Volenterosi — pronti a intervenire appena raggiunta la pace «sul suolo, in mare o nell’aria», lasciando immaginare una disponibilità a inviare truppe o comunque a essere presenti sul territorio ucraino. Se questo è vero per Francia, Regno Unito e altri (soprattutto i Paesi nordici), altri Paesi importanti come Italia, Germania e Polonia non sono affatto d’accordo nell’inviare truppe. E dopo una richiesta di chiarificazione, Macron ha precisato che «questi tre Paesi fanno parte dei 26, ma ciascuno avrà le sue modalità di intervento. Alcuni dispiegheranno truppe sul terreno in Ucraina, altri metteranno a disposizione le loro basi e resteranno nei confini nei Paesi membri della Nato».

È il caso dell’Italia, come ha chiarito più o meno negli stessi istanti una nota di Palazzo Chigi. «Nel ribadire l’indisponibilità dell’Italia a inviare soldati in Ucraina», la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, collegata in videoconferenza come molti suoi colleghi, «ha confermato l’apertura a supportare un eventuale cessate il fuoco con iniziative di monitoraggio e formazione al di fuori dei confini ucraini». La premier italiana ha rilanciato l’idea, vista con favore dal presidente Zelensky e non solo, «di un meccanismo difensivo ispirato all’articolo 5 del Trattato della Nato, quale elemento qualificante della componente politica delle garanzie di sicurezza per l’Ucraina».

La premier Meloni ha partecipato anche alla telefonata con Donald Trump a Washington, l’altro momento importante della giornata, perché qualsiasi impegno europeo vale solo in presenza del backstop, la rete di sicurezza offerta dagli Stati Uniti. Nel corso della lunga conversazione con Washington, secondo palazzo Chigi, «è stato riaffermato il senso di unità con gli Stati Uniti nel ribadire l’obiettivo comune di una pace giusta e duratura per l’Ucraina», «in uno spirito di condivisione tra le due sponde dell’Atlantico». I volenterosi europei (e anche canadesi e australiani, turchi e giapponesi) hanno bisogno della certezza che gli Stati Uniti interverrebbero a loro volta in loro sostegno, qualora venissero attaccati dalla Russia nell’ambito delle operazioni del dopoguerra in Ucraina. Trump ha offerto questa rassicurazione? Sembrerebbe di sì, anche a sentire Zelensky, che ha parlato poi dell’irritazione del presidente americano perché due Paesi europei, Slovacchia e Ungheria, continuano a comprare petrolio russo.

Adesso manca l’ultima tappa, la più importante e anche la più lontana, ovvero la fine dell’aggressione russa, da cercare con l’ennesimo pacchetto di sanzioni. «Un incontro con Putin è necessario — ha detto Zelensky —, ma l’invito a Mosca serve solo a fare fallire i negoziati». Poi la conclusione: «Per adesso, non c’è alcuna volontà russa di mettere fine alla guerra».

4 settembre 2025 ( modifica il 4 settembre 2025 | 21:20)