La Siria e il grande gioco della Turchia

Dalla newsletter del Corriere La Rassegna
(di Massimo Nava) Nemmeno il più acuto degli analisti potrebbe oggi prevedere il futuro della Siria, la cui stabilità è appesa al gioco delle grandi potenze nell’area, alle ambizioni di Israele che ha già occupato una fascia definita di sicurezza e alla sincerità del leader dell’Hts, Abu Mohammed al-Jolani, che ha conquistato Damasco e si presenta come un islamista geneticamente modificato. Ma un fatto, di cui dovranno tenere in gran conto gli europei, sembra assodato: dal caos siriano, la Turchia emerge come primo beneficiario e come play maker nell’area mediterranea.

È stato osservato da più parti che la caduta del regime sia stata favorita dal disfacimento del regime stesso, dalla debolezza delle forze armate e dall’ arretramento degli storici alleati, Russia e Iran, che hanno mollato il dittatore. Ma i rapidi sviluppi degli ultimi giorni fanno emergere in modo evidente il ruolo della Turchia. Fino allo scorso anno, Recep Tayyip Erdogan aveva puntellato l’ex amico Bashar al-Assad, invitato peraltro a trascorrere una vacanza sulla costa turca. Ankara, in cambio di questo appoggio chiedeva alla dirigenza siriana di riprendersi gradualmente gli oltre quattro milioni di siriani espatriati in Turchia, un ritorno che Bashar al-Assad considerava pericoloso per la stabilità del regime.

Secondo un’indiscrezione di Le Figaro, Damasco avrebbe anche rifiutato un massiccio sostegno alla ricostruzione del Paese da parte degli Emirati arabi, naturalmente in cambio di una presa di distanza dall’Iran.

La Turchia non fa mistero di aver parteggiato per le fazioni ribelli che hanno detronizzato Assad. «Ci aspettiamo che gli attori internazionali, soprattutto le Nazioni Unite, diano una mano al popolo siriano e sostengano la creazione di un’amministrazione inclusiva – ha affermato il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan -. In Siria è iniziata una nuova era, ora è necessario concentrarsi sul futuro. La Turchia, che ha teso la mano ai suoi fratelli siriani in tempi difficili, sarà con loro in questa nuova pagina che è stata aperta a Damasco».

Come ricorda una nota dell’Ispi, Erdogan non ha mai abbandonato l’opposizione siriana, anche quando gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali che inizialmente avevano sostenuto le rivolte si sono arresi. Era convinto che sarebbe stata una scommessa vincente. Nel corso della lunga guerra civile siriana, la Turchia ha accolto milioni di rifugiati, ha provveduto con armi e addestramento ai gruppi ribelli. Pur trovandosi in una situazione di forza, non è chiaro fino a che punto la Turchia abbia il controllo della situazione e quale influenza manterrà sul leader di Hts, al Jolani.

Come membro della Nato, con un apparato militare importante, la Turchia gode di una posizione geostrategica dominante e può permettersi di confrontarsi, anche duramente, con Russia, Stati Uniti e Israele, sui principali scenari del Mediterraneo e del Caucaso. La crisi dimenticata dell’Armenia e del Nagorno-Karabakh è congelata a favore dell’Azerbaigian grazie appunto allo stretto rapporto fra Ankara e il regime autoritario di Baku. Rapporto che permette altresì di disegnare i futuri corridoi energetici e ferroviari nell’area. Con il forte sostegno all’Azerbaigian, compreso l’attacco per riconquistare l’enclave del Nagorno-Karabakh dall’Armenia nel settembre 2023, Ankara punto al controllo sulla rotta commerciale del corridoio Zangezur, che collegherà Azerbaigian e Armenia alla Turchia, riducendo ancora di più l’influenza e gli interessi iraniani nella regione.

L’Azerbaigian, Paese di religione musulmana, è uno degli Stati meno liberi e più autoritari al mondo, ma svolge un ruolo politico funzionale alla Turchia e all’Occidente. Ricchissimo di petrolio e gas, è diventato un asset strategico sempre più importante in conseguenza dei conflitti in Ucraina e Medio Oriente. Per l’Europa, una fonte di approvvigionamento preziosa in seguito all’embargo energetico contro la Russia. Denaro e armi non tracciano mai confini netti fra amici e nemici. Al contrario, l’antica legge che il nemico del mio nemico è mio amico prevale.

Ha poi fatto discutere la recentissima decisione della Turchia di chiedere l’adesione all’alleanza Brics. Una decisione di non secondaria importanza se si considera che la Turchia è appunto membro della Nato, l’unico a maggioranza musulmana e che su questa strada Ankara si avvicina a Paesi – Cina, Russia, India, Sud Africa, Brasile, Iran – non propriamente amici dell’Occidente. È vero che le relazioni diplomatiche e commerciali sono più complesse e ormai non delineano più una divisione per blocchi contrapposti. Tuttavia è un fatto che il modello Brics tende ad ingrossarsi con nuovi membri, pretende di rappresentare un contrappeso alle alleanze occidentali e prefigura un sistema monetario alternativo al dollaro.

L’ambizione di Ankara è di avere un ruolo sempre più decisivo nel Mediterraneo e in Medio Oriente e di porsi come fattore di equilibrio nel conflitto Usa/Russia esploso sul campo di battaglia ucraino. L’avvicinamento ai Brics delinea la frustrazione per decenni di attesa nell’anticamera dell’Ue. Ma oggi sulla questione dei profughi siriani e in generale dei migranti «ospitati» sul suolo turco l’ultima parola spetta ad Ankara. Erdogan definisce un successo strategico l’avere un piede in diversi campi.

Grazie alla posizione per ora dominante in Siria, la Turchia potrebbe incassa qualche dividendo in Libano e Iraq, a spese dell’Iran, con ulteriori modifiche degli equilibri regionali.
«Un governo guidato dall’Hts, una volta consolidato il potere in Siria, rifiuterà l’annessione delle alture del Golan da parte di Israele e probabilmente non rimarrà neutrale sulla situazione dei palestinesi – prevede Vali Nasr su Foreign Policy -. I legami arabi sunniti con i palestinesi sono più organici di quelli dell’Iran e di Hezbollah. La minaccia ai confini di Israele potrebbe ora risiedere nel nuovo ordine politico di Damasco, sostenuto da Ankara. Per gli Stati arabi, dall’Egitto e dalla Giordania a quelli del Golfo Persico, il trionfo dell’Hts in Siria sembra una pericolosa eco della Primavera araba, che pensavano di aver sconfitto. Erdogan aveva abbracciato le rivolte arabe, vedendo un futuro per il mondo arabo che riflette la sua visione della democrazia musulmana. In cambio, molti partiti islamisti hanno accolto la Turchia come fonte di ispirazione e di sostegno».