di Giovanni Caprara
Il presidente Trump ha tagliato quasi tutto, tranne i 7 miliardi per arrivare sulla Luna e un altro miliardo per il “salto” su Marte. La Russia è fuori gioco, la Cina da anni si sta preparando (benissimo) per vincere la sfida della nuova colonizzazione. Ma è il duello tra privati, come Bezos e Musk, che accelererà l’ascesa
Ora Marte è un obiettivo politico. La Casa Bianca nel bilancio della Nasa per il prossimo anno dedica sette miliardi di dollari per arrivare in fretta sulla Luna e un miliardo di dollari per iniziare seriamente la preparazione del viaggio sul Pianeta Rosso. Con una precisazione ben sottolineata nel documento: «sconfiggere la Cina nel ritorno sulla Luna e portare il primo uomo su Marte». I piani dell’ente spaziale sono riorientati con una poderosa concentrazione di interessi sui due obiettivi tagliando nello stesso tempo le risorse ad altre attività oltre ad un terzo dei dipendenti, riducendo addirittura del 24,3 per cento l’intera disponibilità economica rispetto a quest’anno. Quanto forte sia la determinazione nel procedere sulla nuova direzione lo ha dimostrato la cancellazione del candidato Jared Isaacman, uomo d’affari e astronauta, alla guida della Nasa alla vigilia della sua approvazione da parte del Congresso perché le idee espresse durante gli incontri preliminari non garantivano adeguata sintonia.
Già nel discorso sullo Stato dell’Unione Donald Trump ha indicato Marte come meta dell’esplorazione portando lassù la bandiera americana, assecondando le aspirazioni del suo ex consigliere Elon Musk. Musk, infatti, guarda con interesse al vicino pianeta immaginando addirittura l’insediamento di una città da un milione di abitanti e ripete: «Morirò in America. Non andrò da nessuna parte. Potrei andare su Marte, ma sarà parte dell’America». Intanto promette spedizioni vicine nel tempo, da bravo uomo di marketing, e sostiene che l’anno prossimo porterà il robot umanoide Optimus sulle sabbie rosse. Ciò, nonostante i guai della sua astronave Starship nata prima di tutto per tornare a camminare sulla Luna e sulla quale imparare a compiere il successivo grande ma più affascinante balzo più lontano.
Intanto al padrone di Tesla e Space X avrà fatto piacere la proposta arrivata da Mosca da parte di Kirill Dmitriev, capo di un fondo sovrano russo, e nominato di recente da Putin inviato speciale per la cooperazione economica e gli investimenti internazionali. Kirill durante un forum di aziende organizzato vicino al Cremlino ha affermato che si aspetta di tenere presto dei colloqui con Musk per discutere proprio di Marte elogiando i suoi sforzi mirati ad estendere i confini della presenza umana. Le affermazioni non erano certo casuali e, anzi, precisava che intende lavorare con il tycoon a stelle e strisce per rafforzare i rapporti con l’agenzia spaziale Roscosmos e la società nucleare statale Rosatom avendo già contatti con la Camera di commercio americana in Russia. Rosatom, infatti, sta sviluppando piccoli reattori per la fornitura di energia sulla Luna e poi su Marte.
Mosca e Washington, per la verità, non hanno mai interrotto del tutto la collaborazione in orbita e sulla stazione spaziale internazionale Iss convivono felicemente russi e americani scambiandosi addirittura i lanci di astronauti e cosmonauti sulle rispettive navicelle Crew Dragon e Soyuz. Nel frattempo, comunque, Putin nel 2021 condivideva il programma ILRS (International Lunar Research Station) avviato da Pechino per costruire una colonia sulla Luna guardando poi insieme a Marte.
Le scelte di Trump ed Elon Musk fanno discutere negli Stati Uniti e in Europa. Ci sono senatori, anche repubblicani, che non condividono i tagli riguardanti l’astronave Orion e il grande vettore SLS nati per la Luna e Marte, in prospettiva sostituiti con quelli dello stesso Musk. Il cambio, sostengono, metterebbe a rischio il ritorno, prima della Cina, sul nostro satellite naturale. Che resta la meta prioritaria. James Fletcher, due volte amministratore della Nasa, sosteneva che «la strada più breve per arrivare su Marte passa per la Luna». Un pensiero condiviso dal concorrente cosmico di Musk, Jeff Bezos, che fondava la sua società Blue Origin ancor prima di Space X. «Bisogna sviluppare molte tecnologie assolutamente indispensabili che impareremo andando sulla Luna» dice. E anche lui sta costruendo per la Nasa un veicolo di sbarco lunare precisando la sua differente idea del futuro. Per il creatore di Amazon, all’insediamento marziano è preferibile la costruzione di grandi stazioni spaziali dove migliaia di persone possono vivere, produrre e veleggiare tra i pianeti. La sfida è dunque aperta.
Forse è poco noto che tutto prese il via con le suggestioni ottocentesche dei canali di Marte “visti” da Giovanni Virgilio Schiaparelli dall’osservatorio milanese di Brera, dalle quali emerse la fantascienza popolata dai marziani. Poi si aggiunsero nei primi decenni del Novecento le visioni dei pionieri dello spazio. Ma il primo progetto per compiere il grande balzo sul Pianeta Rosso veniva presentato nell’agosto 1969, cioè il mese successivo al primo sbarco sulla Luna di Neil Armstrong e Edwin Aldrin. In quei giorni l’amministratore della Nasa Thomas Paine e Wernher von Braun l’ideatore del grande razzo Saturn V per la storica impresa, salivano i gradini del Congresso delineando le successive tappe dell’esplorazione. Nelle pagine del nuovo piano assieme ad una stazione orbitale, lo shuttle e la colonia lunare c’era lo sbarco su Marte da raggiungere con astronavi dotate di propulsori a razzo nucleari.
La guerra in Vietnam, però, assorbiva immani risorse e l’interesse per i voli lunari calò drasticamente sostituito da una visione più legata alla Terra attanagliata dalle iniziali crisi energetiche. Il geniale von Braun se ne andava dalla Nasa e Nixon diede il il via soltanto allo shuttle. Vent’anni dopo il presidente George Bush ripropose l’obiettivo e altrettanto il figlio George W. più tardi. Le proposte tuttavia erano in fretta dimenticate dai politici estranei dal garantire i finanziamenti necessari. Mancava infatti una forte ragione politica per affrontare l’eccezionale sfida, come era accaduto per la corsa alla Luna con i sovietici, vinta dagli americani e allora legata alla supremazia militare.
Ma nel dicembre 2017 tutto cambia. Donald Trump alla Casa Bianca dà il via al programma Artemis per riportare gli americani sulla Luna guardando ai panorami marziani. Nel frattempo erano emerse due ragioni fondamentali in passato inesistenti. La prima riguardava le capacità della Cina ormai cresciuta con sicurezza nelle attività spaziali che si era sostituita al tracollo subito dai russi. Con la scomparsa dell’Unione Sovietica erano tramontati i sogni di Sergei Korolev, padre dello Sputnik e di tanti altri progetti.
Il primo progetto per la conquista del Pianeta Rosso è datato 1969, un mese dopo lo sbarco sulla Luna. La guerra del Vietnam assorbì costi enormi e fermò i progetti americani. Fino a Bush
La seconda ragione era connessa al fatto che la tecnologia spaziale maturata in mezzo secolo consentiva lo sviluppo di una economia cosmica oltre l’atmosfera con attori privati prima non immaginabile e in grado di far crescere un nuovo mondo. Era questa la logica in grado di sostenere e alimentare anche il futuro dei progetti. Non a caso il programma Artemis venne sottoscritto da 53 nazioni (finora) mentre in parallelo, con la stessa logica, all’analogo programma cinese Irls aderivano una quindicina di Paesi. Tutti inizialmente verso la Luna per imparare a conquistare Marte dove, nel frattempo, si è capito che il raggiungimento del pianeta non sarebbe stato un singolo viaggio di esplorazione ma l’inizio di una presenza continua nel tempo. La sola esplorazione scientifica, dunque, non può bastare (come non era stata sufficiente per andare sulla Luna) mentre invece le grandi imprese avviate adesso sul nostro satellite naturale e su Marte sono l’occasione per la crescita di una diversa realtà economica e tecnologica, preziosa nelle ricadute sulla vita terrestre. Infatti nel nuovo budget Nasa del 2026 è prevista la creazione di un “Commercial Moon to Mars Infrastructure and Trasportation Program” per commercializzare i viaggi su entrambe le mete.
Le sonde Rover Complexity e Perseverance, alimentate da reattori nucleari, da anni scandagliano le sabbie rosate alla ricerca di molecole organiche, mattoni-base della biologia
Intanto per indagare il volto scientifico del Pianeta Rosso e aprire la strada agli astronauti, si sono costruite nei decenni scorsi sonde e rover sempre più capaci. Inizialmente il confronto era tra macchine sovietiche e americane. Poi il Cremlino abbandonò la prospettiva sostituito negli ultimi anni da Pechino. Finora una cinquantina di robot cosmici si sono proiettati verso gli orizzonti rossi rimasti sempre difficili tanto che metà delle missioni sono fallite. La Nasa spediva rover complesse e intelligenti come Curiosity e Perseverance; alimentati da reattori nucleari viaggiano da anne tra le sabbie rosate dei fondali marini e fluviali prosciugati dimostrando come in epoche remote l’acqua scorresse abbondante offrendo condizioni favorevoli alla vita. Inoltre, i loro sofisticati strumenti raccoglievano le prove dell’esistenza di molecole organiche che sono i mattoni di base della biologia. Proprio la ricerca della vita esistente oggi oppure emersa e poi estinta nel passato, rappresenta l’obiettivo più importante dell’esplorazione. Nel frattempo, le sonde sbarcate vicino alle zone polari e nelle prossimità dell’equatore hanno dimostrato l’esistenza di ghiaccio nei primi strati del sottosuolo oltre ai ghiacci d’acqua e di anidride carbonica nelle calotte polari. Grazie alle spedizioni orbitali, inoltre, si conoscono sempre meglio gli aspetti geologici e i cicli meteorologici che scatenano periodiche tempeste di sabbia come nel film The Martian, in grado di mutare il volto del pianeta. In superficie si misurano le radiazioni che piovono sulla terra sterilizzandola e dalle quali gli astronauti dovranno difendersi riparandosi in caverne oppure costruendo abitazioni protette da materiali adeguati. Ma, soprattutto, si dovrà sviluppare la capacità di estrarre dall’ambiente risorse utili alla vita essendo impossibile portare ciò che serve dalla Terra. Nei laboratori di università e centri di ricerca si conducono esperimenti per capire quali vegetali coltivati nel suolo marziano garantiscono la sopravvivenza e tra i favoriti ci sono patate, pomodori, lattuga e basilico. Oltre gli Stati Uniti anche la Cina e l’India e persino gli Emirati Arabi, hanno spedito verso Marte e sulla sua superficie sonde (da Tianwen a Mangalyaan, a Hope) che analizzano le caratteristiche ambientali. La sonda Mars Express dell’agenzia spaziale europea Esa ha scoperto emissioni di metano e con il radar italiano Marsis installato a bordo anche un lago di acqua liquida nel sottosuolo. Ora l’agenzia sta preparando la missione Exomars con a bordo il rover Rosalind Franklin che partirà nel 2030. L’Agenzia spaziale italiana Asi condivide le missioni europee e il rover Rosalind avrà a bordo una trivella robotizzata costruita da Leonardo che cercherà forme di vita fino ad una profondità di due metri nel sottosuolo.
Purtroppo c’è da sperare che dai tagli previsti della Nasa scompaia la cancellazione per eccessivi costi della spedizione congiunta Esa-Nasa in preparazione per portare sulla Terra i primi campioni di suolo marziano e già raccolti dal rover Perseverance. Nel frattempo la Cina ha promesso di compiere la stessa operazione nel 2028.
Ma oltre a superare le difficoltà dell’ambiente, prima di avviare il grande viaggio marziano bisognerà imparare a difendersi dalle radiazioni cosmiche che rappresentano una minaccia per la salute degli astronauti nel lungo viaggio di circa tre anni, tra andata e ritorno.
Marte è un pianeta straordinario. Pur con una taglia che è metà della Terra e una gravità quasi tre volte minore, ha però molti aspetti analoghi come le stagioni, una temperatura che all’equatore può raggiungere quasi i 20 gradi (ma la media è di meno 60 gradi centigradi) ed è dotato di un’atmosfera di anidride carbonica dalla quale si può ricavare l’ossigeno utile agli astronauti e ai motori dei razzi. Sul rover Perseverance della Nasa uno strumento sta già collaudando l’innovativa tecnologia. Geologicamente, poi, offre meraviglie uniche che diventeranno meta turistica oltre che scientifica dei futuri esploratori: ha il vulcano più alto (25 chilometri) e il canyon più lungo e più largo (4000 chilometri e 200 chilometri, rispettivamente) del sistema solare.
Nelle prime epoche della sua esistenza (mezzo miliardo di anni) su Marte i vulcani in eruzione alimentavano l’atmosfera, l’emisfero nord si ritiene fosse ricoperto da un oceano e i fiumi solcavano l’altra metà del globo. C’erano, quindi, condizioni analoghe a quelle terrestri. Se non si scoprissero tracce di vita passata, dicono alcuni scienziati, sarebbe un serio problema. Ma se verrà colta la preziosa traccia il nostro futuro della conoscenza sarà diverso. E, comunque, un giorno andremo a vivere lassù, quando gli scienziati, già impegnati su questo fronte, avranno imparato a trasformare l’attuale luogo arido e sterilizzato in un panorama attraente come Ray Bradbury ci ha raccontato in Cronache marziane.
25 luglio 2025
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