Milano che cosa le ha dato?
«Tantissimo. È una città piena di problemi, sempre più costosa ed esclusiva, però è anche un posto in cui, se uno ci crede, è reciproco. Milano, ecco, “crede in te”. Ci scommette. O almeno con me è così. C’è un’energia diversa, ci viene gente da tutta Italia, animata da questo spirito».

E la provincia, invece, che cosa le ha dato?
«L’identità. Ho cominciato copiando J-Ax e gli Articolo 31, ma mi sono reso conto presto che solo raccontando quello che vivevo davvero potevo essere originale. E cioè: la vita di provincia, dove non c’è futuro e l’unico sbocco è trovarsi un lavoro qualsiasi per farsi rubare quel poco di stipendio per un affitto. Io ne sono fuggito. Poi, certo, non è che a Milano faccia chissà che vita, sono spesso in studio, non frequento i locali in, non è quello il mio mondo».

È vero che ha chiuso i ponti con la sua famiglia, Senigallia e il resto?
«Sì, ma è stato più naturale di quanto sembri. Vengo da una famiglia disfunzionale, i miei, separati in casa, si facevano la guerra e mi hanno segnato a lungo – solo pochi anni fa ho metabolizzato davvero quello che avevo vissuto. Quando nel 2006 sono arrivato a Milano, a livello di rapporti con Senigallia, avevo solo macerie. Per il resto, questo è un lavoro che assorbe al cento per cento, quasi una missione. Se si sceglie di vivere di questo, se ne viene catturati del tutto, fuori non resta niente: non restano amici, né affetti in generale, a volte neanche le radici».

Nel suo ultimo disco c’è un pezzo, Figlio, dedicato «al figlio che mai avrò». Nel computo dei sacrifici c’è anche la paternità?
«Per me sì, nel senso che ho passato vent’anni tra studio e tour e mi è stato impossibile mettere su famiglia. Ma, le dico, al momento neanche m’interessa».

Molti suoi colleghi più giovani, invece, stanno figliando.
«Guardo le loro Stories su Instagram e passano dalla moglie incinta al jet privato: io non ho avuto né l’una né l’altro. Ma non demonizzo nessuno, sono stato sfortunato con i tempi: se fossi un rapper trentenne, oggi, farei un figlio anch’io. Ma Figlio è un pezzo con dentro consigli che, da padre, vorrei dare ai ragazzi: però non è un brano per loro, semmai per i genitori. Vorrei mi ascoltassero e parlassero con loro di ciò che conta davvero, non che li riempissero di doveri e basta».