Cosa lega una Assunzione di Maria di Rubens e un paesaggio romantico di Caspar David Friedrich a un ritratto fotografico di Friedrich Merz, Volodymyr Zelensky, Emmanuel Macron, Donald Tusk e Keir Starmer? Il nesso sarebbe complesso da raccogliere, se non fosse che il Kunstpalast di Düsseldorf ha deciso di collocare questi mondi lontani sulla stessa linea d’orizzonte. Il museo tedesco, nato nel ‘600 intorno alla collezione di Giovanni Guglielmo del Palatinato e di sua moglie Anna Maria Luisa de’ Medici, ha infatti acquisito una fotografia scattata lo scorso maggio da Jesco Denzel, fotoreporter ufficiale del governo federale tedesco, durante un momento cruciale di diplomazia internazionale: la riunione a Kiev della cosiddetta “coalition of the willing”, la coalizione dei volenterosi, un tavolo serrato tra leader europei e il presidente ucraino, collegati in diretta telefonica con Donald Trump. L’immagine restituisce la tensione di un negoziato sul cessate il fuoco e al tempo stesso cristallizza l’idea di un’Europa «Dalla parte della pace», almeno stando a quanto dichiarato da Linda Conze, responsabile della collezione fotografica del Kunstpalast.
Non è la prima volta che uno scatto di Denzel entra nelle collezioni del museo. Già nel 2018, la sua immagine della cancelliera Angela Merkel che fronteggia Trump al G7 in Canada aveva fatto il giro del mondo, diventando simbolo di un braccio di ferro tra Europa e Stati Uniti. E poi sappiamo come è andata a finire. Mettere le due fotografie fianco a fianco, all’interno di una prestigiosa collezione di arte che va dal Rinascimento fino ai giorni nostri – nel senso più attuale del termine cronologico – è un atto museografico critico, che mostra come le immagini ispirate dalla realtà possano andare anche al di là della narrazione della cronaca e della geopolitica, condensando in sé lo spirito del tempo, pur ambendo all’eternità. O almeno alla storia dell’arte contemporanea.
E così, queste fotografie, prodotte da un ufficio stampa governativo, diffuse come file digitali e stampate a posteriori, possono essere sfogliate accanto alle eleganti composizioni di Cranach il Vecchio. Come se la diplomazia del presente chiedesse al linguaggio della pittura antica la legittimità per farsi monumento. Il museo sancisce così che il concetto di opera non è più vincolato alla materia e nemmeno all’autorialità in senso stretto ma alla capacità dell’immagine di farsi icona condivisa, di entrare nel flusso visivo collettivo e condizionare l’immaginario.
D’altra parte, nella collezione di circa 130mila pezzi del Kunstpalast compaiono anche dei sandali Birkenstock e una borsa Aldi. «È arte? Certo che lo è!», risponde il museo. Insomma, la storia dell’arte è anche storia dello sguardo e, di conseguenza, delle persone che lo “usano”. E oramai già da diversi anni l’occhio globale passa attraverso lo strumento quotidiano dell’immagine digitale.
«Pensiamo alle immagini come a masse infinite – osserva Conze – ma dimentichiamo quanto sia facile perderle. Non è affatto scontato che tra cento anni ne rimangano molte». Per questo il Kunstpalast lavora con altre istituzioni di Düsseldorf per salvare gli archivi fotografici di un quotidiano locale.
E così, tra Bernini e Rubens, al Kunstpalast trova posto anche Zelensky, in una fotografia che già porta con sé l’aura della storia, in un tempo in cui aleggia la sensazione di assistere al ritorno di scenari drammatici, tra genocidi, corse agli armamenti e prove di forza, che sembrano rievocare, in forma altra eppure così simile, le tragedie del passato.