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Redazione Economia
Tra il 2015 e il 2024 la Spagna ha attratto 304 miliardi di euro, a fronte dei 191 miliardi registrati dall’Italia. Che hanno generato 72.416 nuovi posti di lavoro, mentre i 303 progetti avviati in Italia poco più della metà
Uno studio realizzato da Amazon e TEHA Ambrosetti evidenzia una significativa divergenza nei flussi di investimenti diretti esteri (IDE) tra Spagna e Italia: tra il 2015 e il 2024 la Spagna ha attratto 304 miliardi di euro di IDE, a fronte dei 191 miliardi registrati dall’Italia. La ricerca individua i principali fattori alla base di questo divario di 113 miliardi di euro e suggerisce azioni di policy concrete per accrescere l’attrattività degli investimenti in entrambi i Paesi.
Il Comitato scientifico alla base della ricerca
La ricerca beneficia dei contributi di un prestigioso Comitato Scientifico composto da Enrico Letta (Dean della IE School of Politics, Economics and Global Affairs presso IE University di Madrid; Presidente del Jacques Delors Institut; già Presidente del Consiglio dei Ministri italiano), Carlo Altomonte (Associate Dean della SDA Bocconi), Patricia Gabaldón (Professoressa di Economia e Direttrice Accademica del corso di laurea in Economia presso IE University) e Jordi Sevilla (Economista, Context Director e responsabile della Intelligence Unit presso LLYC; già Ministro della Pubblica Amministrazione in Spagna; già Presidente di Red Eléctrica de España – REE).
Il commento di De Molli e Busnelli
L’analisi mostra che gli 856 progetti greenfield realizzati in Spagna fino al 2024 hanno generato 72.416 nuovi posti di lavoro nello stesso periodo, mentre i 303 progetti avviati in Italia ne hanno creati 40.006. Un divario particolarmente significativo, considerando le basi economiche simili e la vicinanza culturale dei due Paesi. «La nostra analisi dimostra che attrarre investimenti internazionali richiede un approccio sistemico e di ampio respiro – dice Valerio de Molli, CEO di TEHA -. I dati evidenziano chiaramente che garantire certezza giuridica, digitalizzare la pubblica amministrazione e armonizzare la regolamentazione tra le diverse regioni non sono riforme astratte, ma hanno un impatto diretto sulla capacità di un Paese di attrarre e trattenere capitali internazionali». «Amazon ha potuto osservare direttamente i punti di forza e le sfide di ciascun Paese – aggiunge Giorgio Busnelli, Country Manager di Amazon Italia -. Fattori strutturali come la complessità burocratica, l’elevato cuneo fiscale e una minore partecipazione al mercato del lavoro ne condizionano la capacità di attrarre capitali internazionali con la stessa rapidità della Spagna».
La spinta del consumo
Il motore principale dell’economia spagnola è il consumo, sia delle famiglie sia del settore pubblico. Ciò traina anche il mercato del lavoro, che sta creando molta occupazione e sta sostenendo i redditi dei nuclei familiari. L’inflazione, la più bassa rispetto agli altri Paesi europei, ha avuto un effetto positivo. Il merito si deve molto ai fondi del Next Generation Eu, in parte alle riforme del lavoro.
Il mercato del lavoro liberalizzato
Il riferimento è alla legge del 2021 di Yolanda Díaz (vicepresidente del governo e ministra del Lavoro in quota Sumar) che è nata da un accordo tra tutti gli attori sociali. Nel 2023 il Paese iberico ha registrato un boom di nuovi posti: risultano 783 mila, secondo i dati dell’Active Population Survey. Il numero totale dei disoccupati è sceso sotto la soglia dei 3 milioni. Non accadeva da oltre dieci anni. Il tasso di partecipazione alla forza lavoro, vale a dire il rapporto tra forze lavoro e la popolazione in età lavorativa, in Spagna si attesta all’80,2% contro il 71,7% dell’Italia. Questo significa che in Spagna una percentuale maggiore della popolazione in età lavorativa è attivamente presente nel mercato del lavoro rispetto all’Italia, con una differenza di 8,5 punti percentuali. E anche la produttività in Spagna è aumentata del +3,2%, mentre l’Italia ha registrato un calo del -2,6%, evidenziando come le buone performance del mercato del lavoro italiano non si siano pienamente tradotte in crescita economica.
Qualche ombra nella crescita
La crescita spagnola mostra però luci – come i servizi, le esportazioni – e ombre. Per esempio, la dipendenza della spesa pubblica e il rialzo del debito. Quel che è certo è che l’economia è più liberalizzata di quella italiana. Sánchez ha preso provvedimenti contro la precarietà e a favore dei consumi dei ceti popolari, nei trasporti per dirne uno. Il balzo della produzione spagnola non è inedito: i motori dell’economia iberica sono il turismo e l’edilizia, ha scritto di recente la rivista Business People.
Gli ultimi anni
È un sistema che cresce a velocità maggiore del nostro, ma in passato ha conosciuto anche crolli verticali. Lo sa bene Zapatero, che andò gambe all’aria con la grande crisi del 2011 importata dagli Stati Uniti, negli stessi giorni in cui cadeva Berlusconi. Madrid dovette accettare nel 2012 il programma di assistenza finanziaria dell’Esm, il fondo salva-Stati della Ue, in cambio di 41,3 miliardi che il governo spagnolo ha usato per la ricapitalizzazione degli istituti di credito e per la creazione di una bad bank. Entrare nel programma di assistenza finanziaria, durato un anno, comportò per Madrid l’impegno ad attuare una serie di riforme e un piano di austerity che il premier dei Popolari di quegli anni, Mariano Rajoy, pagò poi politicamente. Crebbe il movimento anti-austerity Podemos e i partiti tradizionali persero terreno. Ma ora si vedono i risultati.
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5 settembre 2025
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