Ovviamente la sua condanna non diminuisce le responsabilità dell’adulto, ma è interessante notare il meccanismo che guida le nostre reazioni agli stimoli dell’attualità. Se la notizia rientra in uno schema di indignazione prestabilito («padre si trasforma in ultrà») non si aspetta che l’evento si raffreddi, rivelando i suoi contorni effettivi, ma si viene presi dalla smania di prendere posizione.
Nessuno usa il condizionale, che è la seconda grande vittima del nostro tempo, dopo il congiuntivo. È tutto un susseguirsi di verbi all’indicativo che finiscono per suggestionare anche chi non ha letto la storia e se n’è fatto un’idea solo dai commenti altrui. Così si scrivono sermoni indignati in difesa del ragazzino innocente e malmenato senza motivo, mentre portieri famosi, da Buffon a Donnarumma, fanno a gara nel chiamarlo «collega» e invitarlo al raduno della Nazionale.
Poi arriva la realtà e il teatrino si zittisce di colpo. Ritroverà la voce domani, con la prossima notizia prêt-à-porter. Perché la regola dei social è la stessa che mi rivelò un celebre chef quando gli chiesi quale fosse il momento giusto per mettere la pancetta nel sugo della carbonara: «Meglio mai che tardi».
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6 settembre 2025, 06:20 – modifica il 6 settembre 2025 | 09:21
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