di
Elvira Serra

Il giornalista: «A Josi non perdono il Karaoke con Travaglio. La cocaina? È una cosa di 25 anni fa, riuscii a smettere da solo»

Filippo Facci, da piccolo cosa sognava di fare?
«L’astronauta o lo scienziato di cose astronomiche».

Attitudini particolari?
«Fino alla quarta elementare mi portavano in giro di scuola in scuola perché ero una specie di fenomeno del disegno e della matematica, sapevo già fare le equazioni di secondo grado. La presunta genialità si interruppe di colpo in quarta elementare».



















































Quando morì sua madre.
«In coincidenza con la sua morte, non a causa».

Cosa ricorda?
«Ai funerali ero allegro e gli adulti mormoravano che non mi rendevo conto. Probabilmente era così, le elaborazioni possono spalmarsi per una vita intera. E io, dopo aver trasformato quell’evento in un pretesto vittimistico, non posso dire quando lo abbia compiutamente elaborato».

La sua carriera giornalistica comincia sul «Paninaro».
«No, ho cominciato su un settimanale a Monza che veniva inviato agli abbonati del telefono: può immaginare il potere smisurato che mi dava. Tant’è che fui notato dall’Unità e da Repubblica e cominciai a collaborare con loro per la zona di Monza-Brianza. Al Paninaro arrivai a 21-22 anni, mi pagavano 20 mila lire a cartella. Per loro feci anche il fotomodello. Poi mi sposai e mollai tutto».

Come si chiamava lei?
«Sabrina. La conobbi il 29 giugno del 1989 e la sposai il 29 ottobre. Andammo a vivere in un bilocale dove ognuno aveva la sua stanza. Poi partii per il militare e divorziammo al mio rientro. Fu La Russa a occuparsene, gratis, perché era suo amico».

È autore di numerosi saggi: di quale è più orgoglioso?
«Sono più affezionato a quello che ha venduto meno: Misteri per Orchestra».

Come nasce questa passione?
«Suono percussioni e pianoforte. Probabilmente la musica è ciò per cui sono più portato. Nel 2005 feci dimettere Muti dalla Scala».

Addirittura?
«Scrissi un articolo per il Foglio in cui emergeva la distanza con l’orchestra. Il giorno dopo si dimise. Ferrara mi fece i complimenti. Zeffirelli mi invitò a cena, non andai».

Perché?
«Per accidia. All’Inferno finirò in quel girone».

Oggi ha rivalutato Muti?
«L’ho rivalutato come uomo di spessore culturale del ‘900 che giocoforza mi ritrovo a rimpiangere».

Il direttore più grande?
«Leonard Bernstein. Ogni tanto riguardo le sue lezioni americane in bianco e nero».

Quello che avrebbe voluto intervistare?
«Wilhelm Furtwängler, per farmi dire come riusciva a tenere il piede in due staffe durante il periodo nazista».

Ha dedicato un libro a Bettino Craxi. Andava a trovarlo ad Hammamet?
«Sì, più volte, con il mio ex amico Luca Josi. Rivedo la sua sagoma caracollante illuminata dalla luce del frigo mentre infilava il coltello in una caciotta. In ristorante nessuno voleva sedersi vicino a lui perché rubava dai piatti».

Perché finì l’amicizia con Luca Josi?
«Perché io ero un suo soldato e lui era il mio superiore: abbiamo condiviso la battaglia per Craxi. Quando lessi che era stato al ristorante a fare il karaoke con Marco Travaglio, per me fu un punto di non ritorno. La mia è un’intransigenza, ma voglio fare da promemoria vivente ai miei amici che hanno tradito».

Ha scritto su Di Pietro.
«Ed è il libro che ha venduto di più. Mio padre è mancato mentre lo scrivevo. Quel lutto fu devastante».

Successe all’improvviso?
«No, in cinque o sei mesi. Aveva un tumore ai polmoni. Gli facevo fumare le ultime sigarette a letto».

Lo aiutò a morire?
«È stata una morte assistita non dichiarata. Un’amica medico ci ha aiutati con le cure palliative ad accelerare la pratica di incoscienza. Lui era d’accordo».

Era orgoglioso di lei?
«Credo di sì. Penso di aver vissuto gran parte della mia vita per renderlo orgoglioso».

Ha tre figli.
«Rocco ha 16 anni, Nora 8. Quattro mesi fa dalla mia nuova compagna, Alberta, è nato Fosco: il nome viene da un equivoco».

Perché?
«Lo scelse lei leggendo sulle poltroncine della Scala la traduzione del primo atto de La Valchiria di Wagner. Non ricordavo un personaggio con quel nome, ma non dissi nulla. Così il mio ultimogenito si chiama come un aggettivo, sostantivato probabilmente».

Dove vi siete conosciuti?
«Lei ha 23 anni meno di me. Mi tampinava su Facebook, ma mi sembrava troppo bella e troppo intelligente. Pensavo di aver messo i remi in barca, invece due anni fa abbiamo fatto la pazzia di andare a vivere insieme».

È proprio innamorato.
«Assolutamente sì, in una maniera che non mi spiego. Se fossi donna vorrei avere un uomo innamorato come me. Lei è pure gelosa! Ma a me non passa per l’anticamera del cervello l’idea di tradirla».

Continua a fare follie come bungee jumping?
«Bungee jumping l’ho fatto solo due o tre volte, come il paracadutismo. Ho anche tre brevetti da sub. Ho scalato il Cervino e il Monte Bianco: l’alpinismo ho cominciato a praticarlo a 47 anni. Il più bel complimento che mi è stato fatto è che se avessi cominciato da giovane sarei diventato qualcuno; ho replicato che forse sarei già morto, per la mia incoscienza. Non voglio morire prima della scadenza, ma voglio morire da vivo».

È ancora in vigore l’ammonimento del questore per stalking nei confronti della sua ex compagna?
«Era un provvedimento amministrativo, non penale. Ho vinto tutte e sette le cause che la mia ex mi ha intentato e il giudice ha anche abbassato l’assegno di mantenimento. Annamaria Bernardini de Pace mi ha difeso gratis, me lo ero fatto mettere per iscritto. Ora mi ha detto basta».

Quant’ha perso in querele?
«La casa più bella che ho mai avuto, a giudizio di chiunque. Compreso Cruciani. Ma la perdita della casa è stata anche per via di alcune cartelle fiscali inevase».

A proposito di Cruciani: davvero gli soffiò la fidanzata?
«Ma va! Andammo insieme a Sacile per un incontro di Pordenonepensa e gli feci notare queste due ragazze che non sembravano essere lì per motivi intellettuali. Io ero con la mia ex e nostro figlio. Mi avvicinai per parlarle e poi ci raggiunse Giuseppe».

Dove si è più emozionato?
«Raramente dimenticherò certi momenti con la mia attuale compagna, avvenuti nell’età della disillusione».

E a livello professionale?
«Difficilmente dimenticherò il Funerale di Sigfrido al Festival di Bayreuth nel quarto giorno della tetralogia, nel buio totale del teatro progettato da Wagner stesso con sedie così scomode perché tu non possa addormentarti».

Tornerà mai in Rai, dopo il pasticcio che le precluse «I facci vostri», quando epitetò in modo sessista la donna che accusava Apache La Russa di violenza sessuale?
«Se la reazione fu così devastante, qualcosa dovrò aver sbagliato. Non sono cattolico e non credo nelle scuse. Credo nell’assunzione di responsabilità. In Rai dovrei tornare da ospite, dopo l’estate».

Certe sue uscite sono indifendibili. Come le venne in mente di scagliarsi contro il «cessismo», usando una foto infelice di Michela Murgia?
«Confesso un mio gusto per il demenziale e la smitizzazione assoluta. Poi magari mi capiscono in tre. Non sto a pensarci molto prima di scrivere una cosa, rifiuto di credere che poi crolli il mondo».

Di Greta Beccaglia scrisse: «Di pacche nel culo ne vorrebbe una a settimana».
«Intendevo per la celebrità che ne è derivata, è evidente».

No, non lo è.
«Allora sopravvaluto il prossimo».

Però «Il Giornale» le ha tolto la tutela legale.
«L’azienda me l’ha tolta a margine di un articolo dove per un refuso fui querelato da un magistrato, nonostante lo avessi mandato a Sallusti e a un redattore. Ancora oggi sto pagando le rate per l’accordo raggiunto con l’avvocato che mi sono dovuto pagare io».

Una volta andò alla Scala con la maschera di Sallusti.
«Era ai domiciliari per querele. Oggi è il mio direttore, ma non andiamo d’accordo».

È mai tentato dalla droga?
«Non più, quella cosa risale a 25 anni fa. La cocaina può darti l’idea di risolvere la mediocrità della vita, non fosse che ti ammazza. Sono riuscito a smettere da solo».

Nel suo ultimo libro, «Dizionario del politicamente (s)corretto», denuncia «il wokismo come variante della stupidità umana». La parola che più la fa arrabbiare?
«”Razzismo”, visto che è scientificamente dimostrata l’inesistenza delle razze umane. Il razzismo dunque non esiste, esistono la xenofobia e la discriminazione».

Stigmatizza il «femminismo intersezionale».
«È quello che gerarchizza tra donne meritevoli o non meritevoli di solidarietà. Mi è arrivata una valanga di telefonate di femministe storiche entusiaste. L’avrebbe detto?».

6 settembre 2025 ( modifica il 6 settembre 2025 | 07:35)