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Il New York Times ha pubblicato una lunga inchiesta in cui racconta di una pericolosa e complicata missione che le forze speciali statunitensi hanno compiuto nel 2019 in Corea del Nord, e che finora non era stata resa nota. L’obiettivo della missione era intercettare le conversazioni private del leader nordcoreano Kim Jong Un, e fu nel complesso un grosso fallimento: non ci riuscirono e vennero uccisi almeno due civili nordcoreani.
L’articolo si basa sulle testimonianze di una ventina di funzionari civili e militari ed è molto dettagliato, anche se omette alcuni particolari per evitare di rivelare informazioni che possano mettere a rischio militari o future operazioni statunitensi. I fatti risalgono all’inverno del 2019, quando il presidente degli Stati Uniti Donald Trump, allora al suo primo mandato, e Kim stavano conducendo ormai da diversi mesi delicate e per certi versi inedite trattative sul programma nucleare nordcoreano.
Nel corso del 2018 e poi del 2019 i due leader si incontrarono diverse volte: semplificando, Trump voleva convincere Kim a denuclearizzare il paese, cioè sospendere il programma di sviluppo di armi nucleari e smantellare le centrali; Kim in cambio sperava di ottenere un maggior riconoscimento internazionale, la fine delle esercitazioni militari statunitensi in Corea del Sud e delle sanzioni nei confronti della Corea del Nord. Quelle trattative furono infruttuose: a distanza di parecchi anni è noto che Kim continuò a sviluppare il suo arsenale nucleare e la Corea del Nord resta un paese perlopiù isolato (anche se con qualche eccezione).
Donald Trump, in seguito alla pubblicazione, ha detto di non saperne nulla. Nell’articolo del New York Times invece gli autori Dave Philipps e Matthew Cole hanno scritto che difficilmente il presidente poteva non saperlo, dato quanto era delicata: se fosse stata scoperta gli Stati Uniti rischiavano non solo di far fallire le trattative, ma anche di dover trattare con la Corea del Nord nel caso in cui avesse preso in ostaggio i suoi uomini, o peggio ancora di entrare in conflitto aperto con un rivale imprevedibile e dotato di armi nucleari. Per questo, scrivono sempre Philipps e Cole, la missione deve essere stata per forza approvata direttamente dal presidente.
Un soldato dei Navy Seals durante un’esercitazione a Fort Knox nel 2007 (Mcs2 Jayme Pastoric/Planet Pix via ANSA)
La missione prevedeva che un grosso sottomarino a propulsione nucleare lungo circa 200 metri si posizionasse al largo della Corea del Nord. Dal sottomarino sarebbero dovuti partire due sommergibili molto più piccoli, della dimensione di qualche metro, con a bordo un pilota ciascuno e i militari incaricati di piazzare il dispositivo elettronico per le intercettazioni. Questo è uno dei dettagli omessi dall’articolo: non si sa esattamente dove dovesse essere piazzato e che dispositivo fosse.
In ogni caso i due sommergibili più piccoli avrebbero dovuto avvicinarsi alla costa abbastanza da permettere ai militari di nuotare fino a riva e posizionare l’apparecchio per le intercettazioni. I piloti dovevano parcheggiarli sul fondale dell’oceano e attendere il rientro dei militari, per poi rientrare al sottomarino principale. Il tutto era reso molto complicato dal fatto che le comunicazioni tra loro erano ridotte, perché non potevano rischiare di essere intercettati.
Quando i militari si trovavano già sulla costa, però, videro un’imbarcazione nei pressi del punto in cui avevano parcheggiato i sommergibili. Vedendo una persona gettarsi dalla nave pensarono che si trattasse di una pattuglia dell’esercito nordcoreano che aveva avvistato i mezzi statunitensi, quindi spararono e uccisero tutti i membri dell’equipaggio, non è chiaro se due o tre. I militari tornarono indietro, fecero in modo di nascondere i corpi e scapparono senza completare la missione. Le persone assassinate erano pescatori di molluschi, dei civili.
Nei giorni successivi le immagini satellitari mostrarono un incremento di attività militare nordcoreana nell’area, ma non si è mai saputo se la Corea del Nord abbia scoperto qualcosa. L’amministrazione di Joe Biden, che nel 2020 successe a quella di Trump, avviò un’indagine interna su quanto accadde, ma i risultati restano riservati.
L’operazione, per la modalità in cui si è svolta, evidenzia almeno due cose problematiche. Una riguarda i Navy Seals, che appunto sono un corpo dell’esercito altamente specializzato incaricato di compiere missioni complicate, importanti o molto pericolose, e soprattutto molto spesso segrete (forse la più nota fu quella in cui venne ucciso il capo di al Qaeda Osama bin Laden, nel 2011).
Il fatto che agiscano perlopiù in modo altamente riservato fa sì che le loro missioni vengano rese note solo quando sono un successo (o quando sono oggetto di inchieste giornalistiche, come in questo caso). Questo non permette all’opinione pubblica di valutarne correttamente l’operato, soppesando rischi e interesse pubblico.
Eppure i casi in cui hanno fallito sono stati diversi, ed è proprio per valutazioni di questo genere che durante il suo secondo mandato (tra il 2012 e il 2016) il presidente Barack Obama ridusse le operazioni delle forze speciali e introdusse nuovi metodi di controllo, che Donald Trump eliminò di nuovo.
L’altro punto riguarda Trump: sebbene non esista una procedura univoca, è opinione degli esperti sentiti dal New York Times che la legge in casi come questo imponga al presidente di informare i membri del Congresso che si occupano di intelligence e questioni militari, cosa che invece non fece. Il Congresso lo scoprì solo successivamente grazie all’indagine ordinata dall’amministrazione Biden.