VITERBO – Restano in carcere Baris Kaya e Abdullah Atik, i due cittadini turchi, di 22 e 25 anni, sorpresi il 3 settembre scorso dalla polizia con una mitraglietta d’assalto Tokarev, una pistola Browning calibro 9 e tre caricatori in un b&b di Viterbo le cui finestre affacciano direttamente sul punto clou del Trasporto della Macchina di Santa Rosa – una torre altra 30 metri dedicata alla patrona – evento che richiama ogni anno una folla enorme. I due turchi, di origine curda, che già quella sera si erano rifiutati di rispondere al pm Massimiliano Siddi, ieri mattina di fronte al Gip Savina Poli hanno di nuovo fatto scena muta.
IL BASISTA
L’avvocato Mario Angelelli, che ieri era rappresentato dal collega Cosimo Alvaro, sta valutando il ricorso al Riesame per chiedere per i suoi assistiti i domiciliari. I due ventenni sono accusati di detenzione di armi clandestine di cui una da guerra. E i contorni in cui si inserisce la vicenda del loro arresto lasciano pensare che difficilmente possano essere accordati. Intanto è caccia al basista che ha curato il loro arrivo nella Città dei Papi.
Scongiurato un possibile attentato proprio durante il passaggio del corteo, le indagini ripartono dall’unico dato oggettivo: le armi, appunto. Dalla chat emersa dall’esame di uno dei telefoni in possesso dei due giovani sembra che Kaya e Atik stessero per procedere a una vendita d’armi. Una ipotesi presa in considerazione dall’antiterrorismo è che dietro all’aspetto trasandato e dimesso dei due e alla loro permanenza a Viterbo si celino in realtà dei trafficanti d’armi che si muovono su canali sovrapponibili a quelli dell’immigrazione clandestina volta a favorire anche l’ingresso in Europa di dissidenti turchi e ricercati dalle autorità di Ankara.
Il fatto che all’interno del b&b siano state trovate numerose buste stracolme di cibo (uova, barattoli di pomodoro, persino la Nutella) e che il titolare della struttura ricettiva abbia riferito alla polizia che a insospettirlo, tra le altre cose, è stato il fatto che i due rimanessero sempre chiusi in una sola stanza dell’intero appartamento, farebbe pensare che Kaya e Atik avessero ricevuto istruzioni precise per muoversi solamente al momento opportuno, per ricevere o andare a incontrare qualcuno. Informative passate raccontano di italiani pronti a favorire incontri tra trafficanti internazionali sulla rotta tra Roma e Viterbo. Cinque anni fa, era l’ottobre del 2020, aveva destato clamore l’omicidio, a Formello, vicino la Cassia, di Said Ansary Firouz, un imprenditore iraniano di 68 anni su cui aleggiava l’ombra di un traffico di internazionale di armi. L’uomo era stato indagato dagli uomini del Ros in relazione a una partita di fucili da spedire a Teheran con l’appoggio di esponenti del crimine calabrese e faccendieri russi. Una vicenda degna di una spy-story.
BANDE RIVALI
Nel traffico d’armi, agiscono anche “agenti di commercio”. Uomini mandati con un saggio di campionario da mostrare agli interlocutori intenzionati a comprare. E la consegna non è detto che debba avvenire per forza nello stesso posto o Paese da cui l’ordine viene impartito. Nell’inchiesta della Procura di Milano sulla temibile mafia turca i “Dalton”, il cui boss Baris Boyun venne arrestato proprio a Viterbo un anno fa e il cui braccio destro Durmus Ahmet risiedeva a Vetralla (Vt), della disponibilità di armi i sodali non fanno mistero. L’intercettazione più esplicita è quella in cui Boyun ammette expressis verbis di avere a disposizione un produttore di armi personale. Parlando di un’arma, ricoperta d’oro, che aveva regalato ad un certo Yusuf, il boss dice: «C’è la fabbrica. Ho il mio produttore d’armi personale. Non li vendo questi, li do ai miei ragazzi». In una conversazione del 6 marzo 2024 si vanta di gestire, attraverso i suoi uomini, dalla Turchia «tutto il mercato tedesco», di poter «vendere anche in Svizzera». Parla di amici italiani, dei serbi «molto forti» che «mandano in America Latina, in Colombia». Gente che «non lavora nelle strade, ma a livello internazionale». E di trafficanti «tornati a lavorare in Palestina, in Somalia, in Yemen». In un’altra conversazione un certo Hakan gli chiede di mandare qualcosa attraverso i suoi uomini «in Georgia e in Cipro».
Durmus Ahmet si sarebbe preoccupato di coordinare il traffico di immigrati dalla Turchia favorendo l’ingresso illegale in Europa anche di dissidenti, prestando assistenza ai ricercati dalle autorità turche, dando ospitalità anche a esponenti di altre organizzazioni (ora rivali che ambivano a prenderne il posto) come Atiz Ismail detto “Hamus”, dei “Casper”, arrestato a sua volta, sempre a Viterbo, nella frazione di Bagnaia, il 25 agosto scorso. Nello stesso luogo dove aveva dimorato uno dei due turchi arrestati a Santa Rosa dal 20 al 24 agosto.
Chi sono realmente Kaya e Atik e perché si trovavano a Viterbo, nel pieno della festa patronale, con una mitraglietta e una pistola? Possibile fosse solo una coincidenza visto che la prenotazione per il 2 settembre è arrivata al b&b solo dopo una disdetta improvvisa? Alla polizia risultano nulla facenti e con una famiglia in Turchia. Nella lente anche alcuni profili social con i vessilli del Kurdistan libero e a video che mostrano armi ed eserciti. Finora solo ipotesi. L’avvocato Angelelli sulla storia dei suoi assistiti preferisce non parlare: «Strategia difensiva», dice. Quando sono stati arrestati, c’era già «un amico» che aveva pensato ad assicurare loro anche un legale di fiducia.
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