La Cina è vicina, ci avvertono i media commentando la parata di Pechino e le minacciose parole di pace di Xi Jinping. Quel che sembra la minaccia sul nostro domani in realtà ha quasi sessant’anni. La Cina è vicina fu il titolo di un film di Marco Bellocchio del 1967, ma diventò presto un tormentone nell’Italia e nell’Occidente di quegli anni, spaventati dalla Rivoluzione culturale (e criminale) di Mao Tse Tung e dal proselitismo che la Cina cominciava a fare nel mondo, mentre l’Unione Sovietica si irrigidiva nel suo buro-comunismo. L’estrema sinistra occidentale, nel ’68, si scoprì maoista e filocinese, si sentì attratta dalla Cina, giovane, popolosa, combattiva, anche se agricola, poverissima, dotata solo di biciclette. Avevamo anche una Cina d’asporto, a due passi da noi italiani e a un passo da noi pugliesi, in Albania, che stava virando il suo comunismo in versione pechinese. Poi quando morì Mao, il Grande Timoniere, il potere cinese fu dominato dalla banda dei quattro, poi sembrò ibridarsi col capitalismo occidentale, si parlò perfino di maothatcherismo, anche se inquietante fu la repressione della rivolta di Tienanmen nell’anno in cui cadeva il muro di Berlino e poi l’Unione Sovietica.

Riapparve un ibrido di collettivismo e capitalismo, fino a che un nuovo timoniere di lungo corso, Xi Jinping cominciò la sua lunga marcia. La Cina conquistò mezzo mondo, l’Occidente con il commercio, le economie internazionali comprandosi il debito americano e non solo, e colonizzando mezza Africa e fette di Asia, portando tecnologia e dipendenza economica. Il Covid nato in Cina fu una specie di guerra “batteriologica”, magari involontaria ma assai influente che mostrò l’interdipendenza mondiale anche sul piano virale e sanitario e la nostra vulnerabilità.

E ora il Caro leader sornione, dalla faccia larga e inespressiva di Gatto Mammone, silente o comunque parco di parole e di gesti, sembra davvero aspettare il cadavere dell’Occidente sulla riva del fiume Giallo. E magari di propiziarne l’avvento.

L’ottuso masochismo dell’Occidente ha dichiarato guerra alla Russia anziché cercare di portarsela dalla sua parte o quantomeno garantirsi una sua equidistanza: e lo ha fatto prima dell’invasione dell’Ucraina, in buona parte causandola, con mille dichiarazioni e posizioni di ostilità, tra cui la minaccia di installare basi Nato in Ucraina, ai bordi della Russia, e inglobare Kiev nell’alleanza euro-occidentale.

Non pago di questo, ora l’ostilità di Trump verso l’India colpevole di avere rapporti politici, commerciali ed energetici con la Russia, sta spingendo anche il terzo colosso asiatico a far combutta non solo con la Russia ma anche con la Cina, a lungo rivale. Trump ha spezzato molti fili di continuità con le amministrazioni precedenti, a partire dall’ultima di Biden; ma sul piano geopolitico e dei rapporti internazionali sta proseguendo nella stessa folle china di rendere gli Stati Uniti invisi a gran parte del mondo nella pretesa di dover dare e togliere le carte al mondo intero. E in questa caduta folle dell’Occidente, l’Europa prima in sintonia con Biden, ora obtorto collo, allineata a Trump, sta dando manforte a questa idiozia planetaria, di mettere l’Occidente contro il resto del mondo. Un’elementare saggezza politica avrebbe dovuto, al contrario, individuare l’antagonista oggettivo nella Cina e di conseguenza avrebbe dovuto cercare di portare dalla propria parte, o quantomeno garantirsi la neutralità, degli altri grandi protagonisti mondiali, a cominciare dalla Russia e dall’India. Non contenti di tutto questo, con gli attacchi all’Iran e la posizione assunta a Gaza, stiamo spingendo l’Islam in quella stessa direzione. Tutto parte dalla convinzione che sia ancora l’Occidente l’arbitro del pianeta, il protagonista assoluto di un nuovo ordine mondiale ormai crollato da decenni. A favore della Cina lavorano sia coloro che si vergognano dell’Occidente, attratti dal capitalismo collettivista cinese e dal suo modello profondamente ostile alla nostra civiltà; sia coloro che pretendono di imporre al mondo il dominio dell’Occidente liberista e capitalista e non si rendono conto che così facendo stanno scivolando in un conflitto-competizione che sarà rovinoso per noi.

Ma la stupidità ha il suo album genealogico. Negli anni settanta molti intellettuali, politici, giornalisti, cineasti italiani erano infatuati della Cina di Mao e della sua Rivoluzione culturale che costò decine di milioni di morti. La stampa italiana, con il cinema e molta cultura nostrana, esaltavano in quel tempo “il grande balzo in avanti” della Cina di Mao. Adottando il peggior cinismo progressista, nel nome dello sviluppo industriale i filocinesi nostrani passavano sui cadaveri di milioni di vittime del regime cinese, considerandoli come trascurabili e inevitabili incidenti sul lavoro, per aprire la via dell’emancipazione e della liberazione. Civiltà cancellate, popoi sradicati, milioni di perseguitati o di rieducati con la forza e con la fame. Di sangue umano è lastricata la via di Pechino: però che belle strade, dicevano costoro, dimenticando il materiale umano di cui sono fatte. Quanta ammirazione per quelle casacche, come quella che ha indossato l’altro giorno Xi Jinping, per le biciclette, per le risaie e per le nuotate di Mao in un fetente fiume Giallo (ed era pure un fotomontaggio, poi dissero), gli stessi che ironizzavano sul Duce che nuotava a Rimini o trebbiava a torso nudo; i demenziali pensierini naive del Grande Timoniere elevati a canoni di sublime sapienza. Tra gli infatuati della Cina cito alla rinfusa Adriano Sofri, Umberto Eco, Barbara Spinelli, Michele Santoro, Sergio Staino, Maria Antonietta Macciocchi, Paolo Flores d’Arcais, Mario Capanna, Renato Mannheimer, Dacia Maraini, Paola Pitagora, Marco Muller, Marco Bellocchio, Michelangelo Antonioni, e sono i primi che mi sovvengono. E interi gruppi, dal Manifesto a Servire il popolo, da Lotta continua al Psiup, più case editrici, attori, registi, cattedre universitarie. Tutto il 68 fu un monumento entusiasta alla Cina di Mao: mentre le guardie rosse spargevano sangue e terrore, loro condannavano come repressiva la polizia italiana e il governo del terribile dittatore democristiano Mariano Rumor…

Fior di scrittori, preceduti da Malaparte, che fu il capostipite e che donò alla Repubblica Popolare cinese la sua splendida villa a Capri, e poi tanti altri come Moravia e Parise, per esempio.

New Entry di questi giorni nella compagnia pechinese, il compagno Massimo D’Alema, che a quei tempi era più legato all’Urss e ai suoi carri armati.

Non ho mai auspicato processi per reati d’opinione e d’infatuazione ideologica, anche se molti di costoro i processi ideologici li fanno ancora, eccome, a coloro che hanno un’opinione diversa su alcuni temi sensibili, come il fascismo, innalzando cordoni sanitari, culturali e giudiziari. Ma è stato possibile tifare per i regimi totalitari più sanguinari di tutti i tempi, e mantenere la coscienza integra insieme al diritto di giudicare e condannare gli altri. Accade tuttora, per esempio alla Mostra del Cinema di Venezia.

Acqua passata, direte voi, come quella in cui si bagnava Mao. Poi vedi il Gattone Xi Jinping vestito da Mao, non a caso, vedi lo spiegamento di armi e soldati, vedi al suo fianco Putin e Modi, vedi gli Imbecilli d’Occidente che fanno di tutto per dare alibi al pachiderma cinese e all’Asia Maggiore di coalizzarsi, e capisci che non stai parlando di ieri ma di domani.

La Verità – 5 settembre 2025

 

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