2 In quelle trecento pagine lette tutte d’un fiato non ho trovato solo il racconto di un uomo ferito nel suo orgoglio, ma nuove verità rivelate senza freni ma anche senza quei rancori lasciati per strada da Angelo Riccardi.
Un libro che andrebbe letto, soprattutto da chi ha archiviato il caso di una città caduta nel baratro senza quel supplemento di riflessione che serve per dare un nome a fatti e circostanze rimasti oscuri,avvolti da quel velo di convenienza che la cultura della viltà ama utilizzare per andare oltre il ragionevole dubbio.
Uno Stato senza Stato, per i tipi Reality Book, è un libro che vuole snidare nella coscienza collettiva sentimenti nascosti, silenzi e paure.
Lui ha una tempra forte.Si vede e si sente in ogni parola che descrive quei giorni cupi di una città decapitata e bollata come mafiosa solo perché il calcolo delle probabilità così suggeriva di fare.
Un memoir che è come un’inchiesta condotta con il cauterio del chirurgo da chi da quella tragedia è stato travolto con Tia, Lucia ed Antonio, sua moglie e i suoi due figli che qualche domanda l’avranno ancora sospesa nel proprio animo.
Ma chi è Angelo Riccardi. Un mafioso, un fiancheggiatore del malaffare entrato nel Palazzo, uno spregiudicato politico che aveva messo le mani sulla città ?
Nulla di tutto questo.
I fatti visti alla moviola, oggi si direbbe Var, consegnano un’analisi protratta e dettagliata che ripercorre in un esame lucido situazioni che portano l’ombra del dubbio su una vicenda tutt’altro che esplorata a fondo da quel provvedimento emergenziale che smantellò un sistema delegittimando in quattro e quattr’otto non solo una pubblica amministrazione che mise sotto chiave la democrazia, ma prese a schiaffi un’intera comunità.
La discussione del libro cui ho partecipato proprio nel chiostro del comune dove si consumò quel dramma, mi è sembrata attenta, seria, dolorosa ma doverosa non fosse altro perché in tanti, tantissimi hanno voluto ascoltare anche per quel represso bisogno di capire che richiama la necessità di ricordare, come mi ha detto nell’orecchio Giandiego Gatta, parlamentare inappuntabile di cui coltivo una sincera, antica amicizia.
Assieme a Riccardi due protagonisti attivi nella politica. Da Mauro D’Attis, un parlamentare elegante e garbato, vice presidente della Commissione Antimafia e un sindaco, quello di Palagonia in provincia di Catania, Salvo Astuti, anche lui rimasto vittima di uno scioglimento per infiltrazioni mafiose, ma rieletto a furor di popolo perché, evidentemente, la democrazia spesso vede meglio della giustizia.
Che lo strumento per mettere fine alla vita di un governo cittadino affidato oggi nelle mani dello Stato sia abnorme e produca il più delle volte danni ancora peggiori lo ha detto senza peli sulla lingua l’onorevole D’Attis con parole pacate e misurate, come nello stile che appartiene ad un autentico moderato che non si nasconde dietro teoremi e sofismi. E ancor più agghiacciante è caduto l’affondo di Salvo Astuti quasi a voler confermare che a volte il rischio è partecipare.
Quanto all’autore, nessuna meraviglia almeno per me che scrivo il resoconto di di un libro che non racconta solo una brutta storia ma dettaglia il triste epilogo di una vicenda umana amara, figlia di una politica fanfarona e spampanata e di uno stato che può dimenticare se stesso.
Conosco da tempo Angelo Riccardi. Mi è sempre sembrato un uomo immediato e diretto, profondamente innamorato della politica che,nel bene e nel male,resta il binario in cui cammina la sua vita rimasta sospesa a metà tra mezze verità e falsità contrabbandate da amici diventati nemici, con non pochi pupari sempre in pista impegnati con successo a non aprire gli occhi su tutto quel che di vero ci sarebbe ancora da scoprire.
Mi chiedo: si può fare il male con la scusa del bene ? Questa tendenza umana, criticata da San Paolo in una lettera ai Romani e richiamata con maggior vigore nel Vangelo (Marco 7,14 – 23) insegna che ciò che rende impuro l’uomo sono le avidità, gli inganni, le invidie, le calunnie, la superbia e la stoltezza.
Tutti ingredienti che, scavando sotto le verità apparenti, si ritrovano nella triste storie recente di Manfredonia, un pezzo di Capitanata martoriato, lo sanno tutti dalla criminalità e da pezzi di Stato che hanno segato le gambe al futuro di una terra con sconvolgente determinazione, questa l’amara verità che è ancora lì appesa nell’aria di una comunità forse non consapevole del danno inferto alle nuove generazioni chiamate a ricostruire la vera trama di uno sporco noir.
La sera prima della presentazione del libro ignoti hanno pensato di incendiare la macchina di Angelo Riccardi, quasi a voler ricordare che il sentimento sinistro della paura è una pellicola che deve essere ancora avvolta a Manfredonia. È stato il fuoco acceso da un balordo o da un emissario di chi in questa storia potrebbe e vorrebbe ancora avere carte da scoprire e carte da giocare ?
La compostezza della platea che ha scelto di assistere alla presentazione del libro di Angelo Riccardi, già sindaco di Manfredonia, mi è sembrata una risposta chiara perché tra quelle centinaia di persone non c’erano solo addetti ai lavori ma tanta bella gente.
E c’era anche la nuova amministrazione con Cecilia Simone, oggi vice sindaca di Manfredonia quasi a testimoniare, vorrei pensare, che l’unico vero antidoto per difendere la democrazia è la coesione sui valori condivisi che ben si ottiene solo quando si ha il coraggio di chiamare le cose con il proprio nome.
Come ha detto e scritto Angelo Riccardi.