A metà degli anni Ottanta, nella complessa e frammentata architettura della Prima Repubblica italiana, un curioso numero divenne simbolo dell’equilibrio raggiunto — o forse solo imposto — nella gestione della RAI: 643111. Questo numero di telefono indicato da Bettino Craxi, rappresentava la formula della “lottizzazione perfetta” (cit. Massimo D’Alema), la spartizione politica tra i principali partiti che allora dominavano il Parlamento e, per estensione, le principali istituzioni pubbliche, compresa l’informazione.

La governance Rai

Il numero stava per 6 democristiani, 4 comunisti, 3 socialisti, 1 repubblicano, 1 socialdemocratico e 1 liberale. Questa era la composizione delle cariche dirigenziali nella governance RAI, in un periodo in cui la lottizzazione aveva raggiunto il suo apice. Si trattava di un sistema di equilibri politici così codificato e interiorizzato da apparire quasi naturale, tanto da diventare oggetto di ironie e metafore giornalistiche. La “lottizzazione” non nasce in ambito mediatico ma urbanistico: indica la suddivisione di un terreno in lotti per la costruzione. Fu il giornalista Alberto Ronchey, nel 1968, a trasferirlo nella sfera della politica, scrivendo una lettera a Ugo La Malfa, nella quale descriveva la prassi con cui i partiti si spartivano le cariche pubbliche, trasformando ogni incarico in un “lotto” da assegnare per quote.

Il patto della Camilluccia

Il sistema che divideva la tv pubblica in “lotti” politici vide la luce nel 1975, con il “patto della Camilluccia”, così chiamato per via dell’elegante strada romana arrampicata su Monte Mario che ospitava una villa della Democrazia Cristiana , voluta da Amintore Fanfani e destinata a scuola di partito – Con quel patto iniziava la lunga storia di Tele Nusco (il paesino di Ciriaco De Mita), Tele Craxi e Tele Kabul; ognuno con il suo referente politico/ editoriale , fisiologicamente faziosi, ma in fondo plurali visto che pentapartito e Pci rappresentavano sommati quasi il 90% dell’elettorato. Nella RAI si inaugurò’ un vero e proprio sistema di potere incrociato, in cui ogni telegiornale, ogni direzione di rete o testata, rispondeva non a una visione editoriale condivisa, ma alla sua parte politica di riferimento. Un sistema che mortificava le professionalità interne, subordinava la qualità dell’informazione alle esigenze di propaganda, ma garantiva anche una sorta di “pace armata” tra le forze politiche, che si controllavano a vicenda.

La DC era il primo partito

Negli anni Ottanta, la politica italiana era segnata da una crescente instabilità e frammentazione. La RAI era considerata uno strumento fondamentale di consenso, specialmente in un’epoca in cui la televisione era ancora il mezzo dominante per informarsi. La formula 643111 rifletteva esattamente la composizione proporzionale del potere politico: la DC, primo partito, faceva la parte del leone; il PCI aveva un accesso consistente; il PSI, in ascesa sotto la guida di Bettino Craxi, otteneva una presenza significativa; mentre i partiti minori — PRI, PSDI e PLI — conservavano piccole ma importanti quote – Funzionò? La formula 643111 ebbe un certo successo, permise una coabitazione tra partiti profondamente diversi, una sorta di pluralismo coatto, molto diversa dal pluralismo di mercato o editoriale, ma pur sempre pluralismo.

Telegiornali, megafoni dei partiti

Dal punto di vista della qualità dell’informazione il giudizio è più complicato. I telegiornali erano spesso percepiti come megafoni dei partiti, privi di incisività critica e di autonomia. La gestione delle notizie rispondeva a logiche di convenienza politica, con un’attenta regia nella selezione delle immagini, dei tempi e delle parole. I vertici erano scelti più per fedeltà politica che per competenza, le carriere giornalistiche erano fortemente condizionate dall’appartenenza (o dalla vicinanza) partitica. In questo clima, l’innovazione editoriale faticava a decollare, e il confronto con le emergenti televisioni private — in primis quelle del gruppo Fininvest — diventava sempre più impari.

Un modello inadeguato

Il sistema del “numero telefonico” cominciò a mostrare la corda alla fine degli anni Ottanta, quando il mutamento del panorama mediatico e politico rese evidente l’inadeguatezza di un modello così rigido. L’ascesa delle tv private, il palato più sofisticato dell’opinione pubblica, la crisi di legittimità dei partiti tradizionali e l’emergere del fenomeno tangentopoli, contribuirono a mettere in discussione la logica stessa della lottizzazione. Fu la crisi della Prima Repubblica, tra il 1992 e il 1994, a far saltare i meccanismi consolidati. Con la discesa in campo di Silvio Berlusconi, la RAI si trovò non più al centro di una contesa tra partiti tradizionali, ma di fronte a una nuova era mediatica, in cui la comunicazione politica avrebbe assunto forme del tutto diverse.

Un equilibrio che oggi sembra impossibile

Oggi, guardando indietro, il sistema 643111 appare come una fotografia precisa di un’epoca: un tempo in cui la politica pervadeva ogni istituzione pubblica e in cui l’informazione era considerata un’estensione del potere dei partiti. È facile condannarlo in blocco, ma più difficile è valutarne le implicazioni storiche. In un certo senso, il sistema garantiva un equilibrio che oggi sembra impossibile: ogni forza politica sapeva di avere una sua “finestra” nella narrazione pubblica. Ma era un equilibrio statico, artificiale, fragile, che finì per scontrarsi con la complessità crescente del mondo reale. L’esperienza del “numero telefonico” ci racconta quanto difficile sia costruire un vero pluralismo in un sistema mediatico dominato da forti interessi politici o economici. In fondo, quella strana formula alfanumerica — 643111 — è oggi un monito e un simbolo, utile a ricordarci che il controllo dell’informazione rimane una posta centrale nella lotta per il potere.

Tullio Camiglieri