Luka trascina da solo la propria nazionale: adesso che è anche dimagrito, è pronto a zittire la critica anche in Nba. Perché i compagni della Slovenia…
Riccardo Pratesi
7 settembre – 21:15 – MILANO
Chi lo dirà più, adesso, “con Doncic non si vince?”. Luka a Riga costringe l’Italia a fare le valigie, ci manda a casa sfoderando una prestazione da 42 punti e 10 rimbalzi, nonostante il cast di supporto mediocre della sua Slovenia. Doncic ci batte da solo o quasi, negli ottavi di finale dentro/fuori. Non lo voleva contro nessuno in una partita ad eliminazione diretta…ecco perché. Pozzecco gli ha messo contro, in difesa, mezza squadra. Da Thompson a Fontecchio, da Gallinari a Niang, quello che se l’è cavata meglio, ma pagando il conto con cinque falli. Nessuno è riuscito a fermarlo. Luka segna 22 punti nel primo quarto, addirittura jordanesco per onnipotenza cestistica, e poi i quattro tiri liberi che nel finale, con gli Azzurri tornati a -1 e tutta la pressione addosso, rialzano la testa alla Slovenia quando i suoi compagni di squadra cominciavano a guardare per terra, terrorizzati dalla rimonta subìta. Luka Magic ora ha l’ostacolo Germania davanti, un Himalaya da scalare con quel vicinato con la sua stessa maglia, ma intanto questo capolavoro segna l’Europeo 2025. Prestazione indimenticabile, un instant classic. Purtroppo contro l’avversario sbagliato.
immarcabile—
Ha messo subito le cose in chiaro, Luka. Dalla palla a due. Ha preso la palla in mano e ha cominciato a segnare, senza fermarsi. Da tre punti, in penetrazione a canestro, dalla lunetta. Sapeva che chi lo circondava aveva bisogno di coraggio, sapeva che l’Italia era superiore alla sua Slovenia, come coralità. E non di poco. E dunque ha calato la carta “spauracchio”. Ha fatto canestro ancora e ancora. Sempre. Tiri “impossibili” persino, con l’avversario addosso, da centro città, in Lettonia. Ciuff, la retina che si muove. Sempre e comunque. L’Italia si è trovata sotto di 18 punti dopo i primi 10’ di gioco, 29-11. 22 punti dei 29 della Slovenia portavano la firma di Luka. Ventidue, provate a pensarci. Roba da immaginare che la partita sia stregata, che non c’è proprio modo, contro quello lì, contro il nativo di Lubiana. Però l’Italia ha fatto la brava formichina, è tornata sotto un passettino alla volta, un canestro alla volta. Complice la stanchezza di Luka, pure dolorante, ma con le sue smorfie non si sa mai dove finisce il teatro e dove inizia il problema. Malfidati. In ogni caso Luka con gli Azzurri che tornavano sotto ha cominciato ad affrontare i raddoppi di marcatura dispensando potenziali assist, concedendo metri di libertà ai suoi tiratori. Il risultato? Mattoni buoni per costruire grattacieli, non per ricacciare indietro gli Azzurri. Se li è così ritrovati sotto e dalla tv ci avevamo quasi fatto la bocca, al rimontone; l’Italia di Pozzecco non ha stelle luminose come lui però ha cuore. Gli ajde (“andiamo” in sloveno) di Luka sono risuonati nei timeout, ha provato a spronare tutti, a spronare gli altri. Niente da fare. A quel punto Luka ha fermato il tempo e il recupero avversario. Ha forzato i falli, segnato i liberi. Si è messo in proprio, gioco forza, e ha chiuso i conti. Inesorabile, spietato. Campionissimo.
NELL’OCCHIO DEL CICLONE—
Il destino dei grandi dello sport è quello di essere sempre al centro dell’attenzione, nel bene e nel male. Esaltato e criticato. Adorato e detestato. Osservato sempre e comunque, ogni momento. Doncic ha vinto tanto col Real Madrid, e un Europeo, il primo e l’unico trionfo della sua nazionale, con la Slovenia da ragazzo di bottega di Goran Dragic. Oltreoceano ha trascinato i Dallas Mavericks alle Finals Nba contro ogni logica tecnica, eppure è sempre bersaglio di una marea di critiche. E non solo sui social media. “Tiene troppo la palla in mano”, “non difende abbastanza”, “è sovrappeso”, “farà la fine di (James) Harden come mancati successi”. Gli hanno detto di tutto, ingenerosi. I texani l’hanno mandato via lo scorso febbraio, scaricato come merce avariata, eppure Luka ha solo 26 anni: il meglio, racconta l’anagrafe, deve ancora venire. La giustificazione di Dallas è stata “non si allena bene, non fa vita da atleta”. Non gli potevano appuntare nulla sul piano tecnico e agonistico o su quello dei risultati per cui l’hanno attaccato extra campo. Doncic si è ritrovato a Los Angeles, ai Lakers, è caduto in piedi per squadra e mercato globale per il suo brand. Si è già preso la franchigia, nonostante fosse quella di LeBron, sinora. Si è fatto il mazzo in estate: si è dedicato al fisico, è dimagrito, ha messo su muscoli, ha aumentato la tenuta atletica, l’unico limite davvero contestabile. I risultati si vedono. La Slovenia è poca cosa, oltre a lui, ma con il numero 77 in squadra i suoi compagni sanno che nessuna partita è persa in partenza. Mai. Chi ha il coraggio di rimproverargli ancora qualcosa, adesso?
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