Volenterosi in panne: tante parole, forse solo i baltici offrono truppe. Rischiamo di spedire 16.000 soldati a fronteggiare 700.000 russi. L’unico scenario realistico è la nostra proposta sul modello dell’articolo 5.Perdere a Risiko è fastidioso, non ammetterlo è infantile. È ciò che sta accadendo ai Volenterosi guidati da Emmanuel Macron e Keir Starmer, in difficoltà più che mai sui due fronti principali: convincere gli alleati a mettere gli scarponi sul suolo ucraino, persuadere Vladimir Putin che «l’armata babele» sia un fattore decisivo. L’imbarazzo è ben mascherato dalle parole dei leader dopo l’ennesimo vertice a Parigi, trascorso invano a contarsi. E definizioni pompose come «saremo una forza di rassicurazione in terra, mare o cielo» (riecheggiando il discorso di Winston Churchill nell’«ora più buia») o «costruiremo un porcospino d’acciaio» (parole e musica di Ursula von der Leyen, roba da lezione di applicazioni tecniche delle medie) confermano il vuoto pneumatico che sta attorno al piccolo Napoleone dell’Eliseo, alla commissaria con l’elmetto Hermès e al loro esercito di cartapesta.Il check up delle forze in campo continua a dare risultati impietosi. E dei 26 Paesi che hanno accettato di offrire garanzie di sicurezza all’Ucraina durante il processo di pace, oggi soltanto la Francia è apertamente disponibile a mandare soldati sul terreno. Potenzialmente la famosa «force de frappe» (che un ambasciatore italiano negli anni Sessanta chiamò force de frappè creando un incidente diplomatico) conta su 120.000 uomini di terra, e in questo momento Parigi ha in atto solo una missione all’estero, con il dispiegamento di 750 soldati in Libano al comando dell’Onu. Gli analisti militari ritengono che non avrebbe alcun problema a inviare 5.000 militari a Kiev, ai quali andrebbero aggiunti i contingenti delle tre repubbliche baltiche; altri 5.000 uomini visto che per Lituania, Estonia e Lettonia la contrapposizione a Mosca è da sempre un affare di vita o di morte. Con inglesi e tedeschi (gli altri fondatori del club dei Volenterosi) si arriverebbe a malapena a 20.000, probabilmente appena 16.000, con norvegesi e canadesi a 25.000. Fine della leva. Un po’ pochi per mettere paura all’esercito russo che secondo l’intelligence militare di Volodymyr Zelensky (non la propaganda di Mosca) conterebbe su 700.000 uomini dislocati in Ucraina. Lo scrive Rbc-Ukraine, riportando dichiarazioni di Andrii Yusov, rappresentante della direzione centrale dei servizi segreti del ministero della Difesa. Secondo Yusov «la maggior parte delle forze è concentrata nella regione di Donetsk, a indicare la principale priorità del nemico». Sempre lui ha aggiunto che il potenziale industriale bellico del nemico è aumentato: «I russi hanno intensificato la produzione dei droni Shahed standard e con alcune modifiche possono produrne fino a 2.700 al mese. Inoltre viene realizzato un numero significativo di esche senza testate (per fuorviare l’antiaerea ucraina, ndr). Gli attacchi massicci rappresentano una seria sfida per le nostre forze di difesa aerea e missilistica. Sono anche una sfida per i nostri partner, che devono aiutarci a proteggere i cieli ucraini». Secondo l’intelligence ucraina, la Russia mira a produrre 79.000 droni nel 2025.Uno scenario drammatico, altro che porcospino o altri roditori. Uno scenario che consiglierebbe, per sciogliere il nodo ucraino, l’applicazione della proposta italiana sul modello dell’articolo 5 della Nato. Lo ha ribadito ieri a Cernobbio il ministro degli Esteri Antonio Tajani: «La migliore idea in campo, che non creerebbe nessuna tensione con Mosca, è quella di ottenere un accordo internazionale che garantisca a Kiev un’azione di mutuo soccorso in caso di attacco, sul modello dell’articolo 5 del trattato di Washington, con il coinvolgimento degli Stati Uniti per la copertura aerea».Un’ipotesi realistica che il muscolare Macron non accetta, sia per protagonismo personale sia per sviare l’attenzione dalla crisi economica francese, con il governo Bayrou in bilico. «Serve un’iniziativa più concreta», ha ribadito rilanciando la campagna di terra, «con piani definiti, confermati e documentati dei generali, pronti per essere sostenuti politicamente». Ma oltre i 25.000 soldati non si va. Anzi, il mood è sempre quello dell’armiamoci e partite. La Gran Bretagna è intenzionata a cedere navi e aerei fuori dai confini ucraini (lo ha scritto il Guardian e nessuno ha smentito). La Germania si limiterà a potenziare l’esercito ucraino per formare quattro brigate meccanizzate, il ministro della Difesa Boris Pistorius ha bollato come «premature» le ipotesi di coinvolgimento dei paracadutisti.In tutti prevale la prudenza, in attesa di capire come si muoveranno gli Stati Uniti. Così il premier olandese Dick Schoof, pur ribadendo il sostegno, ha sottolineato che «la natura del contributo sarà valutata in stretto contatto con il Parlamento». Italia e Polonia si sono sfilate dal bellicismo macroniano. La Spagna addestrerà le truppe ucraine e nulla più, il Belgio ha promesso uno stormo di F16 già in via di dismissione e la Svezia ha condizionato la sua partecipazione (con navi e aerei) alle decisioni americane. Si torna alla casella numero uno, dipende tutto da Donald Trump e dal solito ombrello a stelle e strisce, senza il quale la Russia non si tocca. Tranne Macron, Volenterosi sì ma non Irresponsabili.
Julio Velasco e Alessia Orro (Ansa)
Rod Dreher (Getty Images)