Francia, oggi il voto di fiducia per Bayrou: il governo francese verso la caduta. Ecco cosa può succedere (anche a Macron)

(di Stefano Montefiori) Intorno alle 19 di stasera i deputati francesi voteranno per dare o no la fiducia al premier François Bayrou, che con ogni probabilità non la otterrà. Il governo francese appare destinato a cadere, e il primo a esserne convinto sembra lo stesso Bayrou, che ha convocato i suoi ministri alle 20 e 30 per «un’occasione conviviale», un brindisi di addio. È stato lo stesso premier, a fine agosto, a decidere di chiedere il 42esimo voto di fiducia della V Repubblica, con una scelta che ha colto tutti di sorpresa visto che non dispone della maggioranza all’Assemblea. Si è esposto quindi al rischio, nel frattempo diventato quasi una certezza, di venire bocciato.

«Metterò in gioco la responsabilità del governo su una dichiarazione di politica generale ai sensi dell’articolo 49, comma 1, della nostra Costituzione», aveva annunciato Bayrou lunedì 25 agosto. «Questa dichiarazione di politica generale avrà lo scopo di porre esplicitamente la questione centrale se vi sia o meno un grave pericolo per la nazione, se vi sia o meno urgenza, e di scegliere la strada che consentirà di sfuggire a questa maledizione del debito ritrovando il controllo delle nostre finanze», aveva spiegato il 74enne primo ministro, che propone un piano di risparmio di 44 miliardi di euro per risanare le finanze pubbliche francesi. 

Il centrista Bayrou sperava di rafforzarsi in vista della presentazione della legge finanziaria in ottobre, confidando nell’appoggio o almeno nell’astensione di gran parte delle forze politiche, in particolare del Rassemblement national e della sinistra non radicale oltre che del blocco centrale. Ma Marine Le Pen e il segretario socialista Olivier Faure hanno immediatamente annunciato che avrebbero votato contro. Così la mossa di Bayrou si è rivelata un autogol, dalle conseguenze molto pesanti.

Alle 15 Bayrou prende la parola dal podio dell’Assemblea nazionale per la dichiarazione di politica generale, dedicata appunto alla situazione delle finanze pubbliche. Ciascun gruppo politico invierà quindi il proprio portavoce a rispondere, per esempio Boris Vallaud per i socialisti, Marine Le Pen per il Rassemblement National, l’ex premier Gabriel Attal per i macronisti. Il capo del governo, che a differenza dei parlamentari non avrà limiti di tempo, potrà poi rispondere alle loro domande. I deputati si ritireranno per trenta minuti nei saloni accanto all’emiciclo, poi si voterà. L’esito dovrebbe essere noto intorno alle 19 o più tardi, a seconda della durata degli interventi, in particolare quelli di Bayrou.

Nei mesi scorsi Bayrou, premier dal 13 dicembre, ha superato diverse mozioni di censura presentate dai suoi oppositori, ma per essere approvate quelle richiedevano la maggioranza assoluta dell’Assemblea (di solito 289 voti in condizioni normali, 288 oggi a causa di un seggio vacante). Il voto di fiducia si giocherà invece sulla maggioranza dei voti espressi. Il premier può contare al massimo su 210 voti a suo favore, contro i circa 350 dei gruppi dell’opposizione. Se l’Assemblea, come più che probabile, gli nega la fiducia, «il primo ministro deve presentare al Presidente della Repubblica le dimissioni del Governo» (articolo 50 della Costituzione). Quando toccò al predecessore Michel Barnier essere sconfitto all’Assemblea nazionale, il 4 dicembre scorso, lui presentò le dimissioni al presidente Macron la mattina seguente.

Nessun governo della Quinta Repubblica (dal 1958 a oggi) è mai caduto dopo un voto di sfiducia (diverso dalla mozione di censura presentata dalle opposizioni), soprattutto perché di solito il premier non chiede la fiducia quando ha solo una maggioranza relativa. I predecessori Élisabeth Borne, Gabriel Attal, Michel Barnier e lo stesso Bayrou non hanno chiesto un voto di fiducia dopo la loro dichiarazione di politica generale, al momento di prendere funzione. L’ultimo voto di fiducia risale al luglio 2020, quando Macron nominò Jean Castex a Matignon. Bayrou potrebbe essere il primo a lasciare il potere per un voto di sfiducia da lui stesso sollecitato.

Che cosa succederà dopo? Il presidente Macron potrebbe nominare un nuovo primo ministro che offra maggiori garanzie di trovare l’appoggio delle forze politiche, cercando di allargare la maggioranza al centrosinistra: per questo si fanno i nomi del socialista Pierre Moscovici, attuale presidente della Corte dei conti, o anche di Eric Lombard, oggi ministro dell’Economia giudicato vicino alla gauche e capace di collaborare con il centrodestra. Macron potrebbe invece puntare su un nome della destra, magari su Gérald Darmanin attuale Guardasigilli. Ma molto dipenderà dall’atteggiamento del Rassemblement national, che ha reso più dura la propria posizione e ormai, come la France insoumise di Jean-Luc Mélenchon (sinistra radicale), chiede di andare di nuovo alle urne. Non solo per eleggere una nuova Assemblea nazionale, ma anche un nuovo presidente della Repubblica dopo le dimissioni di Macron invocate a gran voce. Il capo dello Stato ha più volte dichiarato che non si dimetterà e che ha intenzione di rimanere all’Eliseo fino alla fine del suo (secondo) mandato, nella primavera del 2027. Ma se lo stallo politico dovesse continuare e la situazione finanziaria della Francia aggravarsi, Macron potrebbe essere costretto a cambiare idea.