di
Pierfrancesco Catucci

Il ct della squadra vincitrice del Mondiale: «Io imbattibile? No, sono soltanto un bravo coach. Non so cosa farò domani per me conta il qui e ora»

«Quando una persona comincia a confondersi con il suo personaggio, è lì che comincia il declino». Appena atterrato a Malpensa dopo una notte in volo da Bangkok con scalo a Dubai e una coppa del mondo in valigia, Julio Velasco sorride soddisfatto con gli occhi stanchi. Nella storia c’era già di diritto per tutte le prime volte regalate alla pallavolo – dal primo Mondiale nel 1990 con gli uomini alla prima Olimpiade l’anno scorso con le donne – e per le due generazioni di fenomeni portate al trionfo, ma questo oro mondiale è speciale. E si arrabbia quando qualcuno cerca di fargli dire se una delle due squadre è più forte dell’altra. Perché Velasco è così, gli interessa solo il «qui e ora».

A proposito di qui e ora, ora che farà?
«Vado a casa a riposarmi, ne ho bisogno. Poi penserò alla prossima stagione».



















































E allora torniamo indietro. Quando ha capito che era fatta?
«Quando è caduto l’ultimo punto. Fino a quel momento era una partita apertissima. Molto diversa dalla finale olimpica contro gli Stati Uniti. La Turchia ci ha messo in difficoltà, come è normale che accada in una finale mondiale. Le ragazze sono state bravissime a farsi trovare pronte».

Avete vinto due partite sporche, cosa ha fatto la differenza?
«Solo due palloni. Se in semifinale l’attacco di Gabi fosse stato 3 centimetri più alto o più a destra o a sinistra, probabilmente avrebbe fatto punto e in finale ci sarebbe andato il Brasile. Non mi piace la retorica secondo cui se si fanno le cose per bene, si vince. Si può anche perdere facendo tutto bene, solo perché l’avversario ha fatto un po’ meglio. Avere cultura sportiva significa accettare anche questo».

Il suo time out nel tie break («Decidete cosa fare e fatelo bene») ha cambiato la storia della partita.
«Io faccio l’allenatore e cerco di mettere le ragazze nelle migliori condizioni per fare la loro parte. Ho sempre detto che le volevo autonome e autorevoli. Loro lo sono state».

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Sono fenomenali?
«Odio quell’aggettivo».

Ma c’è un filo che lega i ragazzi degli anni 90 e questa squadra?
«In due anni, queste ragazze non hanno fatto un allenamento senza dare il massimo. Questo hanno in comune con quel gruppo. Le squadre che vincono molto hanno giocatori con grande talento che si allenano come se fossero giocatori normali».

Tutti questi successi stanno dando alla pallavolo femminile una popolarità sempre maggiore.
«Il movimento femminile ha potenzialità enormi e queste vittorie continuano ad alimentare la passione: oggi sempre più ragazze vogliono giocare a pallavolo».

Se lo immaginava quando ha iniziato questo nuovo percorso?
«No, anche perché sarebbe gravissimo fantasticare troppo sul futuro all’inizio di un nuovo percorso. Alle ragazze l’ho detto dal primo giorno: “Non pensate né al prima, né al dopo”. Lo sport ci impone di giocare una palla e una partita alla volta. Più di ogni altra cosa, lo sport è “qui e ora”».

Così lei è diventato l’invincibile Velasco.
«Io sono un bravo allenatore che allena una squadra forte. Gli invincibili esistono solo nella mitologia. Nella realtà esistiamo noi e i nostri personaggi. Personaggi che vivono di vita propria. Il mio, per esempio, dice cose che non ho mai detto, fa cose che non ho mai fatto, sembra possa riuscire in qualunque cosa. Ma chi fa bene il musicista non è detto che sia un buon direttore d’orchestra».

Per la serie: «Non basta un bravissimo allenatore senza una squadra fortissima»?
«Se si trovano “cavalli da tiro” e li si allena bene, tireranno di più, ma alla corsa all’ippodromo perderanno. Per quel tipo di gara servono i cavalli da corsa. Poi, certo, è necessario il contributo di un allenatore e di uno staff, ma non si può vincere senza giocatrici forti».

E per vincere ancora?
«Bisogna agire come chi ha perso: fermarsi, capire perché si è perso e cercare di migliorare. Noi abbiamo cercato di fare questo, anche se avevamo vinto l’Olimpiade».

Tra poco comincerà anche il Mondiale maschile, vuole mandare un messaggio a Fefè De Giorgi?
«Ci sentiamo sempre e facciamo il tifo l’uno per l’altro. Credo che possano giocarsela. Dopo il Mondiale del 2022 gli ho detto: “Ora devi perdere tutte le partite, amichevoli incluse, così non ti diranno che sei obbligato a vincere”. Non c’è nulla di più pesante di questa sensazione. Se vogliamo aiutare i ragazzi, lasciamo che giochino tranquilli e facciano del loro meglio».

Le ha fatto piacere anche vedere la Nazionale di calcio guardare la finale e tifare per voi? Anche Gattuso ha speso belle parole per lei.
«Mi ha fatto tanto piacere e a Gattuso faccio un in bocca al lupo per questo cammino azzurro. L’ho conosciuto, è un ragazzo straordinario. Da calciofilo, posso dire che quando vinciamo tendiamo a esaltarci troppo e a diventare presuntuosi. Quando perdiamo, invece, va tutto male. Non è così: ricordo che l’Italia ha vinto due Mondiali quando tutti dicevano che era un disastro. Non quando andava tutto bene». 

9 settembre 2025 ( modifica il 9 settembre 2025 | 08:12)