di Paolo Coletti

L’Umbria sta lentamente svanendo. Non nei suoi paesaggi, nella sua cultura o nella sua bellezza, ma nella sua demografia e nella sua capacità di resistere. I numeri parlano chiaro: in dieci anni siamo passati da 896.742 residenti del 2014 ai 853.068 del 2024. Abbiamo perso più di 43mila persone, praticamente la somma dei residenti di Gubbio e Gualdo Tadino. Entro il 2070, potremmo perdere quasi 200mila persone. E non è solo una questione di quantità: è la qualità della popolazione che cambia. Gli anziani aumentano, i giovani se ne vanno, e i piccoli comuni si svuotano.

Questa crisi silenziosa non è più gestibile con le politiche del passato. Non possiamo continuare a fingere che basti incentivare la natalità o attrarre investimenti. Serve un cambio di paradigma: dobbiamo riorganizzare il nostro territorio, unendo le forze, superando il campanilismo e affrontando con coraggio la realtà.

Le unioni comunali e le fusioni non sono una minaccia all’identità locale. Al contrario, sono l’unico strumento che può preservarla. Perché senza servizi, senza cittadini, senza risorse, l’identità si spegne. E con essa, la comunità.

L’Umbria conta 92 comuni, ma la maggior parte è costituita da piccole entità: 63 comuni hanno meno di 5mila abitanti e 46 sono sotto i 3mila. Questa frammentazione amministrativa rende difficile garantire servizi essenziali in modo efficiente e sostenibile. Eppure, solo 16 comuni fanno parte di unioni attive: l’Unione dei Comuni del Trasimeno e l’Unione dei Comuni Terre dell’Olio e del Sagrantino, ciascuna composta da 8 comuni.

La legge 142 del 1990, che disciplina l’ordinamento delle autonomie locali, offre un quadro normativo chiaro per favorire le unioni e le fusioni tra comuni, promuovendo l’efficienza amministrativa e l’accesso a risorse condivise. Ma gli strumenti da soli non bastano.

L’ultima relazione del Piano strategico nazionale per le aree interne ha ormai preso atto di una realtà drammatica: in molte zone del paese, lo spopolamento è irreversibile. Non si tratta più di invertire la rotta, ma di gestire il declino con intelligenza e visione. In queste aree, la ripresa insediativa è improbabile, e la frammentazione amministrativa rende impossibile garantire servizi essenziali.

Serve una leadership che sappia guardare oltre il breve termine, che sappia parlare ai cittadini con onestà e visione. Perugia, il nostro capoluogo, ha una responsabilità storica. Deve guidare questo processo, non con imposizioni, ma con esempio, dialogo e supporto. Deve mostrare che unire non significa perdere, ma resistere, rinascere, prosperare.

Questo è un appello: ai sindaci, ai consiglieri, ai cittadini. A chi ama l’Umbria e non vuole vederla svuotarsi. È tempo di scegliere: collaborazione o frammentazione, resilienza o declino. Il futuro non aspetta. E il momento per agire è ora.

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