di
Francesco Battistini

Il ministro Saar: «I palestinesi non meritano uno Stato». Scontro diplomatico tra Spagna e Israele: Sánchez richiama l’ambasciatore

DAL NOSTRO INVIATO 
GERUSALEMME – Altre cinquanta torri. La caccia di Bibi Netanyahu ai «nidi del terrore», come chiama i grattacieli che sta abbattendo da quattro giorni a Gaza, «è solo un preludio». 

Il mattino ha il piombo in bocca e l’attentato di Gerusalemme toglie ogni dubbio al premier: ok al nuovo piano americano per una tregua, ma più che altro per risparmiare l’ennesimo dispiacere all’amico Donald Trump. L’ordine ai soldati è ben diverso: avanti con la «grande manovra di terra». E ai gazawi: «Avevo promesso che avremmo distrutto le torri di Hamas. Ne abbiamo demolite 50. Ora, ascoltatemi attentamente: allontanatevi da Gaza City, vi dico che sto approfittando di quest’opportunità. Siete stati avvertiti».



















































Opportunità. Militare e pure politica, adesso. E non solo su Gaza. La settimana scorsa, il premier aveva bloccato i ministri ultrà che volevano approfittare dell’imminente «provocazione» all’assemblea generale Onu — un voto sul riconoscimento della Palestina —, anticipando l’annessione dell’80% dei Territori palestinesi. Non che Bibi dissentisse: la soluzione dei Due Popoli e Due Stati è accantonata da almeno un decennio.

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Semplicemente, gli americani avevano spiegato che fosse meglio aspettare. E il primo ministro s’era adeguato: a turbarlo, secondo il Washington Post, anche l’(insolito) altolà degli Emirati arabi, che avevano definito una «linea rossa invalicabile» l’estensione della sovranità israeliana sulla Cisgiordania. La destra di Gerusalemme sa però che i sondaggi popolari, da tempo, spingono in ben altra direzione. E la stampa ci va duro: «L’Autorità nazionale palestinese è in crisi? — scrive Israel Hayom — Potrebbe risparmiare il 10% del suo budget smettendo di sovvenzionare gli assassini d’ebrei». L’assalto al bus, organizzato da due palestinesi che vivevano in Cisgiordania, è un’ascia da dissotterrare: quando il premier dribbla una convocazione in tribunale al processo che lo riguarda e in meno di un’ora arriva a Ramot, subito avverte che Gaza non basta, «purtroppo la guerra continua anche a Gerusalemme, in Giudea e in Samaria» (che poi sarebbero tutta la West Bank). Col solito ministro Israel Katz a rincarare: «Ci saranno conseguenze gravi».

Quali? Abu Mazen, il presidente di Ramallah, condanna l’attacco. Ma è fuori tempo massimo, accusa il governo israeliano. «Non c’è differenza tra Gaza e Jenin e tra Khan Younis e Ramallah», minaccia un deputato dell’estrema destra, Limor Son Har-Melech. E anche un ex moderato come Nir Barkat, l’ex sindaco di Gerusalemme, ora domanda di chiudere l’Anp. Nell’ultimo anno, le truppe israeliane han martellato Nablus, Jenin. E un migliaio di palestinesi sono stati uccisi in operazioni rimaste in ombra. Da ieri, la Brigata Menashe ha ripreso a setacciare e non ci si limiterà a demolire, come al solito, le case dei terroristi. 

«Quei due provenivano dai territori dell’Anp», si porta avanti il ministro degli Esteri, Gideon Saar: «Questo ci dice che la creazione d’uno Stato del genere avrebbe un solo obiettivo: l’eliminazione d’Israele. L’Anp non ha mai reciso i suoi legami con il terrorismo, non è riuscita a combatterlo». Dunque, «i palestinesi non meritano uno Stato: ci obbligherebbe a fare dei passi. Anche l’Europa deve fare una scelta chiara: state con Israele o coi jihadisti? Non ci costringerete ad accettare uno Stato terrorista palestinese nel cuore della nostra piccola terra».

Tutto serve, per riaprire il fronte cisgiordano. Caso tragico vuole che, fra le vittime di ieri mattina, ci sia anche un giovane ebreo spagnolo, Yaakov Pinto. E questo mentre a Madrid — un anno fa la prima capitale europea, con Dublino, a riconoscere la Palestina — s’apre una pesantissima crisi diplomatica: il governo di Pedro Sánchez che denuncia il «genocidio», Netanyahu che nega il visto d’ingresso a due ministre, la Spagna che richiama l’ambasciatore e annuncia sanzioni, Israele che rievoca l’antisemitismo «mai sopito» fin dai tempi dell’Inquisizione. A Saar non par vero, di calcare la mano: «Proprio mentre Sánchez attaccava Israele, i terroristi uccidevano Pinto. Vergognoso».

9 settembre 2025 ( modifica il 9 settembre 2025 | 15:10)