Le liste d’attesa negli ospedali italiani sono ancora uno dei nodi più critici del Servizio sanitario nazionale. Il ministro della Salute Orazio Schillaci ha rivendicato progressi grazie al monitoraggio avviato nel 2024 e ha promesso nuove misure per ridurre i tempi, coinvolgendo le Regioni e i medici di famiglia. Ma i cittadini continuano a scontrarsi con attese lunghe e differenze territoriali.
Il dato è che alcune prestazioni oggi vengono garantite più velocemente, ma a prezzo di un’organizzazione straordinaria: visite serali e nei week-end, soprattutto in Regioni come il Piemonte che hanno sperimentato tale modello ora preso a esempio da altre. Un risultato che accorcia sì i tempi, ma solleva dubbi sulla sostenibilità e sull’impatto reale. Non si cura un’emergenza sistemica con un cerotto.
Liste d’attesa migliorate: i dati del monitoraggio del governo
“Vorremmo rendere più facile l’accesso al Servizio sanitario nazionale e ridurre le troppe disuguaglianze regionali”, ha dichiarato il ministro Schillaci a Forum, su Canale 5. Come? La strategia del governo si è concentrata finora sul monitoraggio. Grazie a una legge approvata nel 2023, il ministero della Salute è ora in grado di rilevare i tempi di attesa a livello di singola Asl e ospedale. Il primo report, da gennaio a giugno, segnala un miglioramento delle performance in oltre mille ospedali italiani.
Per proseguire su questa buona strada, Schillaci ha indicato tra le priorità anche la medicina territoriale, da rilanciare con le Case e gli Ospedali di Comunità finanziati dal Pnrr. Inoltre c’è il nodo del ruolo dei medici di famiglia, che dovranno operare parte del loro orario nelle nuove strutture. Per renderne più attrattivo il percorso, il ministro ha confermato l’intenzione di trasformare la formazione dei medici di medicina generale in una specializzazione universitaria, come avviene per le altre discipline cliniche.
Cosa succede negli ospedali: il modello Piemonte
Se i dati nazionali mostrano un accorciamento delle liste, il merito sembra essere soprattutto di iniziative locali. Per esempio in Piemonte, il presidente Alberto Cirio ha lanciato una campagna di visite in orario serale e nel fine settimana. Solo nella provincia di Cuneo, da febbraio a oggi, sono state oltre 15mila le prestazioni extra. In tutta la Regione, al 31 agosto, si sono superate le 100mila visite ed esami, con quattro mesi di anticipo rispetto all’obiettivo annuale.
Gli interventi hanno riguardato le prestazioni più richieste:
- Tac;
- risonanze magnetiche;
- ecografie;
- prime visite cardiologiche;
- visite ortopediche.
La misura è stata sostenuta con un finanziamento regionale di 20 milioni di euro nella prima fase e di ulteriori 10 milioni nella seconda, coprendo così anche i mesi estivi per un totale di 12 milioni di euro. Un modello che ha permesso di tagliare i tempi, ma che dipende quindi da risorse straordinarie e dalla disponibilità del personale a fare turni aggiuntivi.
Una soluzione temporanea: i dubbi
Dietro i numeri resta infatti la questione principale: la carenza di personale sanitario. Secondo i dati riportati da Fnomceo, in Italia mancano oltre 10 mila medici, con i pronto soccorso coperti solo al 62% dell’organico previsto. Molti medici di famiglia, inoltre, andranno in pensione nei prossimi anni e si stima oltre 35 mila uscite entro il 2027.
La conseguenza è un sistema sotto pressione, se non direttamente al collasso, dove le liste si riducono solo grazie a campagne straordinarie o all’estensione degli orari, ma senza un reale potenziamento strutturale. Le soluzioni “tampone” rischiano di rendere meno attrattiva la professione, già segnata da carichi di lavoro elevati e stipendi poco competitivi.