Una giovane donna fuma cannabis durante una manifestazione a favore della legalizzazione in Cile

Una giovane donna fuma cannabis durante una manifestazione a favore della legalizzazione in Cile – Ansa

Si moltiplicano, ormai da anni, le ricerche scientifiche che dimostrano quanto sia dannoso per la salute il consumo di cannabis. L’ultima,

appena pubblicata sulla prestigiosa rivista Nature Communications

, è destinata però a fare più rumore di altre. Perché? È molto semplice: perché i dati raccolti dallo studio, che è stato effettuato in Canada (Paese in cui il consumo è legale dal 2018) su oltre un migliaio di campioni di liquido ovarico prelevati da donne sottoposte a trattamenti per l’infertilità, evidenzia potenziali, gravi danni per la fertilità femminile e lo sviluppo dei bambini. La marijuana, infatti, interferisce con la maturazione degli ovociti, aumentando il rischio di infertilità, aborto spontaneo e possibili anomalie cromosomiche nei nascituri.

Causa di tutto ciò, il tetraidrocannabinolo (noto come THC), la sostanza psicoattiva della cannabis responsabile dello “sballo”, che sembra anche capace di alterare il processo attraverso il quale le uova si preparano alla fecondazione: «I risultati di questo studio sono preoccupanti e sottolineano l’importanza di un approccio cauto nell’uso della cannabis quando si pianifica una gravidanza» il commento di Jamie Lo, esperto di ostetricia e ginecologia presso l’Oregon Health & Science University. Peccato che l’uso di marijuana in gravidanza, invece, sia in aumento Oltreoceano, con un numero crescente di donne che ricorre alla cannabis per alleviare nausea e altri disturbi, convinte della sua sicurezza: addirittura, tra il 2002 e il 2020, il numero di quelle incinte che hanno dichiarato di farne uso sarebbe più che triplicato (complice, nel caso del Canada, proprio la legalizzazione della sostanza). E non è tutto, visto che studi precedenti hanno collegato l’uso di cannabis durante la gestazione a autismo, basso peso alla nascita, parto prematuro e, nei casi più gravi, alla morte fetale.

Le analisi pubblicate su Nature Communications, nello specifico, hanno mostrato come gli ovociti esposti a THC abbiano una maturazione accelerata, apparentemente positiva, ma accompagnata da anomalie cromosomiche potenzialmente pericolose. Anche gli ovociti immaturi trattati in laboratorio con THC presentano alterazioni nei meccanismi chiave di divisione dei cromosomi, compromettendo così lo sviluppo embrionale. «La scoperta che l’esposizione a livelli elevati di THC può peggiorare la fertilità e aumentare le complicazioni riproduttive è un avvertimento importante per chi utilizza cannabis durante il periodo fertile» prosegue Lo. Le pazienti, insomma, «devono essere consapevoli dei rischi e considerare di ridurre l’uso».

Un ulteriore elemento di preoccupazione, più volte ribadito dagli esperti anche in Europa e in Italia, riguarda l’aumento costante della potenza della cannabis: dal 1995 al 2022 il contenuto di THC nei prodotti venduti è quadruplicato. E prodotti con concentrazioni elevate di THC sono associati non solo a rischi riproduttivi, ma anche a disturbi neurologici e comportamentali legati all’uso di cannabis, oltre che a danni cerebrali irreversibili nello sviluppo degli adolescenti. Il problema è che molti “consumatori” ignorano la reale consistenza di ciò che acquistano e i suoi potenziali effetti: la droga “leggera” non esiste più (in realtà non è mai esistita) e chi lo racconta ignora i dati oggettivi che con sempre più evidenza lo smentiscono.